MARCO
Cronaca

La fuga da casa durante la guerra. Il nascondiglio è sotto la lapide

Maria si appresta alla tomba di suo padre: spostando la pietra appare qualcosa avvolto in alcuni stracci

Vichi

Maria era in piedi davanti alla finestra del tinello. Ascoltando il Quartetto Cetra alla radio si stava limando le unghie, poi ci avrebbe messo sopra lo smalto rosso e si sarebbe seduta sul tappeto di fronte al camino per farle asciugare più in fretta. Ogni tanto alzava gli occhi e guardava la vallata piena di boschi e di oliveti, pensando che non avrebbe mai potuto vivere in città. Come accadeva spesso, la musica venne interrotta, e la voce rauca di Mussolini annunciò la costituzione della Repubblica Sociale Italiana. Maria si lasciò andare sul divano e si passò le mani fredde sul viso. Chiuse gli occhi e avvertì una sensazione strana dentro la pancia, come se là dentro pulsasse qualcosa che prima non c’era. Ma non era un figlio, ne era sicura. Era più di un anno che la Grecia teneva Antonio stretto fra le sue gambe, e Maria non voleva nessun altro. O Antonio o niente. Passavano i giorni e la situazione peggiorava. Si diceva che i fascisti e i tedeschi rastrellassero interi paesi in cerca dei vigliacchi traditori che avevano rinnegato Mussolini.

La vita era diventata meno preziosa di un francobollo. Maria e sua madre vivevano da sole. Suo padre era morto da molti anni, suo fratello era partito un anno prima per il fronte russo e non se ne sapeva più niente. Dal giorno dell’Armistizio la sorte dei militari italiani era appesa a un filo, e chissà se lo avrebbe rivisto.

"Esco" disse Maria a sua madre, infilandosi il cappotto con gesti nervosi. L’autunno era appena cominciato, ma le giornate erano fredde.

"Dove vai?" fece sua madre, guardandola con ansia.

"Torno presto" disse Maria, stringendole un braccio.

Si chiuse dietro la porta e attraversò il giardino. Uscì dal cancello e avviandosi sul marciapiede si voltò a guardare la casa dov’era nata. Non era grande, forse nemmeno bella, ma era su due piani e aveva la fierezza che solo le case antiche possono avere. Per lei era la casa più bella del mondo. Erano le sei passate, mancava poco al tramonto. C’era vento, e per la strada non c’era nessuno. Dietro le finestre si vedeva brillare la luce delle candele. Maria passò davanti alla chiesa e rallentò. La porta era aperta. Stava per entrare, poi pensò al Cristo di legno che stava dietro all’altare, ai suoi occhi da moribondo, e continuò a camminare. Dopo l’ultima casa del paese imboccò il sentiero che portava al cimitero sulla collina. Era piuttosto ripido, e arrivò in cima con il fiato grosso. Il sole si stava infilando dietro le colline, e il cielo era ancora chiaro. Oltrepassò il cancello e si fermò di fronte alla tomba di suo padre.

La spessa lapide di marmo era spezzata in due, una grossa crepa correva irregolare da un lato all’altro. Portato dal vento arrivò il rumore lontano di un motore, sembrava un grosso camion. E a momenti sembrava di sentire un coro di voci maschili che cantava. Maria tese l’orecchio per capire da dove venissero le voci e in quale lingua cantassero, ma non sentì più nulla. Lesse il nome di suo padre e le date scolpite sul marmo. Per lei era quasi uno sconosciuto, non si ricordava niente di lui, era morto quando lei era ancora una bambina. S’inginocchiò di fronte alla tomba e rimase immobile a fissare il vuoto. Pensava a sua madre, alla sua casa, al caminetto acceso, allo smalto per le unghie.

Alla tinozza per il bagno piena di acqua tiepida, scaldata accanto al fuoco nelle bacinelle di rame... Il cielo si stava oscurando, e il vento soffiava sempre più forte. Maria fece un sospiro profondo e con tutta la forza che aveva si mise a dare strattoni all’angolo basso della pietra tombale. Sentiva i muscoli tendersi come funi, ma un po’ alla volta riusciva a spostare la pietra. Aveva le guance bagnate di sudore. Quando la fessura fu abbastanza grande si fermò un secondo a riprendere fiato, poi si morse le labbra e ci infilò dentro una mano. Sentire la terra umida sulle dita le faceva schifo, ma non poteva fermarsi proprio adesso. Si fece coraggio e infilò tutto il braccio, fino alla spalla. Frugò in quella melma per un lunghissimo minuto senza trovare niente. Spinse il braccio ancora più in fondo e quando le sue dita agganciarono qualcosa per poco non cacciò un urlo. Sfilò il braccio imbrattato di terra viscida, ma ce l’aveva fatta. Cominciò ad aprire l’involto. C’erano diversi strati. L’ultimo era una pelle di coniglio legata stretta con una corda.

Sciolse i nodi e tirò fuori la pistola. Era ancora unta di grasso, e l’asciugò con uno degli stracci. C’era anche una scatola di proiettili. Nascose tutto nelle tasche del cappotto e rimise gli stracci dentro la tomba. A un tratto sentì nel vento lo stesso coro di prima, accompagnato da qualche risata, ma un attimo dopo rimase solo il rumore del vento che passava tra i rami degli alberi. Maria si sedette a terra, puntò la schiena contro la tomba accanto e spingendo con i piedi rimise la pietra al suo posto. Si alzò, salutò suo padre con un cenno e s’incamminò verso le montagne.