
"Appresa dai mezzi di comunicazione la notizia della elezione del professore Giuseppe Conte a presidente del Movimento 5 Stelle, l’Università di Firenze ha chiesto al docente comunicazione formale dalla data di decorrenza del mandato per poter procedere a collocarlo in aspettativa senza assegni, secondo quanto previsto dall’art. 13 del Dpr 382 del 1980". L’annuncio è scritto in amministrativese stretto, ma la sostanza è chiara e soprattutto non è niente di diverso dall’applicazione di una norma che ha più di quarant’anni. L’Università di Firenze dopo l’elezione di Giuseppe Conte, professore ordinario di diritto privato, a presidente del M5s, lo ha messo automaticamente in aspettativa. E’ la seconda volta nel giro di poco tempo che il professor Conte lascia la cattedra per la politica. La prima volta è stata per l’incarico alla presidenza del consiglio, dal primo giugno 2018 al 13 febbraio scorso, la seconda, di queste ore, per l’elezione a presidente del Movimento, ratificata dalla piattaforma Skyvote lo scorso 6 agosto.
Adesso si attende solo la comunicazione formale da parte del professor Conte alla segreteria amministrativa dell’ateneo fiorentino sulla data effettiva per la decadenza dalla cattedra di diritto privato nella Scuola di giurisprudenza in attesa di farvi ritorno nel momento in cui verranno meno le prerogative dell’aspettativa automatica e soprattutto obbligatoria.
Dopo la lunga parentesi da premier, Giuseppe Conte aveva ripreso servizio ai primi di marzo, dopo la lectio magistralis in streaming del 26 febbraio nell’aula magna del Rettorato. A fine aprile, poi, la prima lezione vera e propria dell’ex presidente del consiglio. Un ritorno, sia pure virtuale tra le aule dell’Ateneo fiorentino, per parlare di ’Introduzione al contratto: autonomia privata e regolazione del mercato’. La lezione si è svolta all’interno del corso di diritto privato del collega Vincenzo Putortì. La durata del ritorno all’insegnamento, anche se in remoto dal suo studio di Roma, è durata giusto qualche mese. Il tempo per essere eletto alla guida del Movimento, dopo la redazione piuttosto burrascosa dello statuto e le liti con Casaleggio sulla piattaforma Rousseau.