
Ex Gkn, lotta e Veglione. Qf non poteva chiudere. Violata la legge Orlando. La partita torna al governo
di Barbara Berti
FIRENZE
Volti tirati e pensieri rivolti alle prossime iniziative di lotta. Così appaiono gli operai della ex Gkn di Campi - ora Qf spa in liquidazione - il giorno dopo la sentenza che azzera i licenziamenti dei 185 dipendenti e che impone il confronto tra azienda e istituzioni per la reindustrializzazione del sito. Così, infatti, ha stabilito il giudice Anita Maria Brigida Davia del tribunale di Firenze accogliendo il ricorso presentato dalla Fiom Cgil sulla base dell’articolo 28 dello Statuto dei lavoratori. Proprio come già accaduto nel settembre del 2021. Stavolta, però, l’azienda - oltre al mancato rispetto dell’articolo 9 del contratto nazionale dei metalmeccanici - non ha rispettato neppure la norma sulle delocalizzazioni, la cosidetta Orlando-Todde (inserita nella legge di bilancio 234 del 2021), che si applica alle aziende con almeno 250 dipendenti e che riguarda anche la Qf perché, secondo il giudice, i dati relativi all’andamento occupazione nell’ultimo anno parlano chiaro: 251,81 occupati (media che arriva dal numero dei dipendenti e dai giorni lavorati nel periodo 19 ottobre 2022 - 18 ottobre 2023).
La partita, quindi, si riapre grazie anche alla legge contro le delocalizzazioni, "un sottoprodotto della mobilitazione che abbiamo fatto qui per la legge anti delocalizzazioni" la definisce Dario Salvetti della Rsu ex Gkn. L’ex ministro del Lavoro, Andrea Orlando, via social, invece, ricordando gli ostacoli incontrati sul percorso della legge, compresi "settori sindacali" che "sostennero che si trattava di una norma inutile", sottolinea che "la sentenza sui 185 licenziamenti Gkn dice il contrario".
La sentenza, in sostanza, dà ulteriore tempo (circa sei mesi) alla lotta operaia. "Abbiamo vinto la battaglia, ora bisogna ottimizzare questo nuovo tempo. E’ urgente, urgentissimo un confronto con le istituzioni a livello nazionale e locale" afferma Stefano Angelini della Fiom, spiegando che la cassa integrazione ora in essere per i 185 lavoratori dello stabilimento scade il 31 dicembre, dunque "dal 1° gennaio bisognerà chiedere ammortizzatori sociali che coprano il reddito di questi lavoratori" e per questo "bisogna tornare assolutamente a parlare con il governo, con il Mimit". E questo sarà un passaggio obbligato, visto che lo impone il giudice nella sentenza.
Sempre dalle carte giudiziarie emerge anche un altro dato: il consorzio Abaco di Genova, che si era fatto avanti in estate con un’iniziale manifestazione d’interesse - solo all’acquisto della superfice per fare un condominio industriale - a settembre si era già ritirato. Adesso, però, l’ipotesi del condominio industriale torna prepotentemente come possibile soluzione per la reindustrializzazione. Gli operai continuano a riproporre il loro piano per la produzione di cargobike e pannelli fotovoltaici di ultima generazione. "Oltre ad approfondire ulteriormente il progetto di cargobike - dice Salvetti - crediamo che tutto ciò che è successo con l’alluvione, con la distruzione di elettrodomestici, possa portare di nuovo in auge una delle proposte che avevamo nel primo piano, che è quella della miniera urbana, e dell’autorecupero di Raee, per creare un polo della mobilità leggera, delle rinnovabili ed eventualmente anche dell’economia circolare". Per far ripartire la fabbrica, comunque, serve l’intervento pubblico. "Crediamo sia l’unico modo per uscire da questa situazione. C’è la dissuasione morale, con cui richiamare un imprenditore alla funzione sociale, l’intervento pubblico indiretto, costruendo per esempio un consorzio pubblico intorno a imprenditori privati oppure l’intervento pubblico diretto, anche mediante Cassa depositi e prestiti" sostiene Salvetti.