"Di tutti i paesi e le piazze dove abbiamo fermato il furgone, abbiamo perso un minuto ad ascoltare un partigiano o qualche ubriacone". Inizia così, dai racconti di vecchi al bar e bambini col tè nel deserto, il viaggio errante di una delle figure più carismatiche e decisive sulla scena del folk rock nazionale: per Cisco, alias Stefano Bellotti, quelle storie sono lezioni di vita che ancora conserva, ma il mondo cambia per non morire, e dopo i successi da frontman dei Modena City Ramblers e una carriera da solista coronata da sette album, il suo talento versatile e poliedrico ha incrociato da qualche anno la strada della Bandabardò, orfana del leggendario Enrico ’Erriquez’ Greppi. Il sodalizio con la band fiorentina ha prodotto l’album ’Non fa paura’, un tour sold out e un’altra serie di concerti che si concludono il 5 ottobre (ore 21) al Teatro Cartiere Carrara.
Ultimo tango a Firenze: questa tappa è la fine dell’inizio o l’inizio della fine?
"È la conclusione di un percorso biennale. Mettiamo un punto, poi vedremo tra qualche anno se rifare qualcosa di nuovo. Sarà una grande festa, la musica è amicizia e condivisione".
Sulla copertina di ’Non fa paura’ appare un robottino vintage. Com’è cambiato il lavoro artistico rispetto al passato?
"La copertina è vintage come noi. Un mondo che non c’è più ma è ancora vivo. Una volta era più artigianale, bisognava registrare i dischi, cercare la casa di produzione, gli studi costavano parecchio... Oggi la musica è un po’ un fast food: basta un singolo, si va in tour e poi magari non si scrive più nulla per dieci anni. La mia piccola ambizione invece è che qualcosa resti".
Folk rock, letteratura e teatro: c’è ancora qualcosa che vorresti sperimentare in futuro?
"A fine novembre riproporrò il disco storico dei Modena insieme d undici ex membri della band. Tante persone ci chiedono di rivivere quella storia, quelle parole, quelle emozioni. Saremo a Firenze a febbraio, e poi a Pistoia. In passato, ho scritto pezzi per un paio di docufilm su Pasolini e la motor valley emiliana, mi piacerebbe realizzare la colonna sonora di un film".
Scriveva Almodovar che la vera autenticità non sta nell’essere come si è, ma nel riuscire a somigliare il più possibile al sogno che si ha di se stessi. A che punto siamo dopo quarant’anni di attività?
"Nel triplo vinile e doppio disco live, c’è un inedito chiamato ‘Siamo moltitudine’: noi siamo le persone che incontriamo, i libri che leggiamo, la musica che ascoltiamo. Il percorso dell’uomo non si ferma mai, siamo frammenti di esseri in movimento".
Un suo album si intitolava ’Il mulo’, simbolo di testardaggine, di chi non segue le mode e resiste alle bastonate della vita. È ancora un consiglio che darebbe ai giovani musicisti?
"Chi dà consigli è sempre pericoloso, per me è stato importante andare avanti a testa bassa, perché rispecchia il mio modo di essere. Se avessi seguito il vento, avrei fatto un altro mestiere, poi dipende dal carattere di ognuno, ma penso sia importante sapere cosa si vuol essere nella vita".