"Caro Bonsanti, grazie del lusinghiero invito…". È l’incipit della lettera che Cesare Pavese scrive ad Alessandro Bonsanti il 22 novembre 1949, indirizzandola al Gabinetto Vieusseux, di cui Bonsanti era il direttore.
Questa corrispondenza è solo un tassello di un articolato e prezioso percorso che ricostruisce la poliedrica quanto illuminata figura di Cesare Pavese, forse la voce più potente dello scrittore piemontese all’interno dell’Archivio Bonsanti, come mostrano i volumi raccolti all’interno delle biblioteche d’autore custodite in vari fondi. Da qui la mostra che ha per titolo ’Cesare Pavese al Vieusseux tra carte e prime edizioni’, che prosegue fino al 20 dicembre a Palazzo Corsini Suarez (via Maggio 42), sede dell’Archivio Contemporaneo Bonsanti, visitabile a ingresso libero su prenotazione, ogni giovedì, inviando una richiesta a [email protected].
Nelle teche sono esposte, oltre alla lettera rivolta a Bonsanti, alcune missive inviate da Pavese ad Emilio Cecchi e a Pietro Pancrazi. Visto il profondo rapporto tra i due, si è scelto di mettere in mostra anche il ritratto di Emilio Cecchi, opera della moglie Leonetta Pieraccini, assieme al disegno di Silvano Campeggi del 1948 raffigurante Cesare Pavese. "Le lettere da sole ci sembravano però un dialogo muto – spiega la curatrice Elisa Martini – e così, per far emergere la personalità varia e profonda di Pavese, abbiamo aggiunto molte prime edizioni che ricostruiscono non solo l’opera dello scrittore, ma anche gli anni del fermento editoriale tra gli anni Trenta e l’immediato dopoguerra".
C’è il Pavese traduttore, il primo a far leggere in Italia ’Moby Dick’ nel 1932: in mostra la prima edizione. E anche il Pavese editore: arginando la censura del Ventennio, riuscì a pubblicare ’L’Antologia di Spoon River’ di Edgar Lee Masters, con la traduzione di Fernanda Pivano: in mostra la lettera fra i due che si compiacciono del risultato, anche se il libro sarà presto sequestrato perché giudicato con una copertina blasfema. Pavese fu traduttore di Dos Passos, Steinbeck, Anderson fino a Joyce e Gertrude Stein: "Negli scrittori americani cercava un nuovo linguaggio anche per la letteratura italiana – aggiunge Martini –, un’alternativa possibile all’oppressione dilagante negli anni del regime fascista, e un nuovo linguaggio per rappresentare la società moderna e raccontare quei “cerchi di schiuma” che contraddistinguono la discesa nel ‘misterioso gorgo’ mitico e umano della ricerca pavesiana".