Imballata di cantieri per terra e per aria con transenne varie ed eventuali e gru che spuntano dai tetti come funghi in ottobre, la Grande Bellezza fiorentina ha parecchi tagli sul viso che in alcuni casi son già cicatrici da un pezzo.
Le ferite più grossolane si notano passeggiando lungo l’Arno, di qua e di là dalle sponde all’altezza della Zecca Vecchia. Provate a volgere lo sguardo verso le colline. Sul crinale verde e morbido che dal piazzale Michelangelo discende a valle le gru fanno sfacciatamente capolino da un pezzo.
Interventi, come avevamo sottolineato in passato e teniamo a ribadire, ovviamente legittimi e senza dubbio necessari ma il punto – ora che anche Sant’Ambrogio inizia a ospitare giganti d’acciaio che si ergono dalle vecchie case popolari del rione – è un altro e cioè una semplice, banale osservazione: al netto della necessità di ogni singolo intervento, come mai la calendarizzazione dei lavori non tiene conto del fatto che la contemporaneità di decine di operazioni fanno sì che il panorama fiorentino venga inutilmente depotenziato della sua esplosiva bellezza? Perché, insomma, tutti i cantieri sempre tutti nello stesso momento?
Sorvolando sull’annosa questione della gru agli Uffizi, diventata con il tempo un affare di Stato, viene da chiedersi se mai verrà un giorno in cui lo skyline fiorentino recupererà la sua purezza originaria.
E si diceva poi delle facciate dei palazzi. Un’impalcatura dietro l’altra, in centro come nelle prime periferie intorno ai viali. Anche inquesto caso interventi perfettamente in regola ma, svestendo i panni dei cronisti, e provando a immedesimarsi in un visitatore viene naturale pensare a una città che somiglia all’hub di un’area portuale più che alla capitale de Rinascimento.