"Non voltiamo la testa", il commento della direttrice Agnese Pini

Agnese Pini

Agnese Pini

Firenze, 30 settembre 2019 - Quando lavoravo a Milano, ogni mattina facevo colazione al solito bar dalle parti di piazzale Loreto: dietro il banco, assieme al titolare, c’era sempre una cameriera molto giovane. Un giorno, mentre mangiavo la brioche, sentii il titolare che diceva a un tipo: «Come monta i cappuccini lei...». E giù risate.

La ragazza divenne bordeaux per la vergogna e l’umiliazione. A me salì una rabbia tale che avrei voluto prendere a schiaffi sia il tipo sia il padrone. Invece rimasi zitta, finii la brioche, pagai, andai via. Tempo dopo, mi ero già trasferita a Firenze, una cara amica che lavorava in un ufficio stampa mi raccontò che passava dei guai con un collega più anziano: «Si è fissato, non mi dà tregua».

Era quasi in lacrime. Mi chiese un consiglio e all’inizio reagii in modo battagliero: affrontalo, vai dai tuoi capi. Lei a quel punto mi spiegò tutto l’imbarazzo che provava, la paura che aveva di creare problemi nel suo piccolo posto di lavoro. E alla fine fui io stessa a consigliarle una linea soft: gestiscitela, cerca di neutralizzare gli assalti, non restare con lui da sola. Dopo qualche mese la mia amica si licenziò, e io ancora oggi non riesco a perdonarmi di averle dato un consiglio tanto pusillanime. Ma mi chiedo: sarebbe servito ingaggiare una guerra? La mia amica sarebbe stata spalleggiata, o si sarebbe trovata ancora più sola?

Pochi mesi dopo scoppiò oltreoceano il #MeToo. Si disse allora che il problema era delle attrici, delle veline. Ma il tema delle molestie sul posto di lavoro riguarda le cameriere, le insegnanti, le sommelier, le sportive, le giornaliste, le cuoche, le sarte, le operaie, le tassiste, le ingegnere, le donne che fanno le pulizie in casa e negli uffici.

Il punto è che ancora ce ne vergogniamo (e tanto) a raccontare di abusi, sopraffazioni e molestie. Il punto è che ancora quando capitano alla nostra amica, collega, dirimpettaia ci prende il panico o l’angoscia a denunciarle, a dire che certe parole, certe frasi, certi gesti sono inaccettabili. Perché è scomodo creare rogne, andare dall’avvocato o anche solo dai propri capi col rischio di rimetterci la reputazione, e magari la carriera.

È più semplice sminuire, fare finta di non avere visto, sperare che le cose prima o poi andranno meglio. Eppure basterebbe così poco per cambiare. Basterebbe non fare come ho fatto io: basterebbe indignarsi, difendere le amiche, solidarizzare (non solo a parole) con le colleghe nei guai. Basterebbe lasciare a metà quella brioche di tanti anni fa, a Milano, alzarsi e dire: «Io qui non ci vengo più». Oggi, potessi tornare indietro, lo farei.

è arrivata su WhatsApp

Per ricevere le notizie selezionate dalla redazione in modo semplice e sicuro