Di corsa per 150 km tra spiagge e dune del deserto: l'impresa di un giovane programmatore

Rigers Kadija ha disputato la Ultra Marathon di Boa Vista classificandosi 2° assoluto con il tempo di 23 ore e 44 minuti

Rigers Kadija

Rigers Kadija

Montaione (Firenze), 18 gennaio 2020 - Il sole, il caldo, il vento e soprattutto il deserto. Sono già di per sé condizioni estreme. Provate a pensare di affrontarle correndo: impossibile. Non per Rigers Kadija, 28 anni, programmatore di professione, appassionato di corsa. Da alcuni mesi risiede a Montaione con la propria fidanzata ed è reduce da una vera e propria impresa sportiva.

Alla fine dello scorso anno ha partecipato alla Ultra Marathon di Boa Vista, una gara di 150 chilometri ‘no stop’, che ha chiuso con un eccellente secondo posto assoluto impiegandoci 23 ore e 44 minuti. Una galoppata tra spiagge, dune e mille difficoltà. Un’avventura incredibile, che fa capire fino in fondo l’essenza e il significato dello sport, e tutti i sacrifici che occorre fare per raggiungere certi risultati; anche se, come dice lui, “quando c’è la passione non può essere un sacrificio”. Di quel giorno Rigers Kadija ha fermato ogni istante.  Ecco il suo racconto: “Partenza alle ore 7. È l’alba, il sole deve ancora alzarsi, la temperatura è gradevole e l’emozione sempre più forte. Gli organizzatori mi consigliano di partire piano e di non sprecare energie nella prima metà di gara perché la differenza si fa di notte, quando ci si avvicina ai 100 km. Mentre mi dicevano ciò, riflettevo dentro me... come si può pensare di spingere dopo 100 km sulla sabbia!? Tre, due, uno, si parte. Inizia l’avventura. Lascio andare via il gruppo di testa, tengo un ritmo tranquillo ma costante, il mio obiettivo era finirla dando il massimo. I primi 40 km sono volati, tra spiagge e dune meravigliose che rubavano il mio sguardo a ogni passo. Ci avviciniamo a mezzogiorno, il sole è alto e picchia forte, dal 40° al 60° km è stata durissima. Il caldo rendeva la corsa sulla spiaggia sempre più faticosa e dispendiosa dal punto di vista energetico. Stringo i denti, reintegro liquidi e solidi frequentemente, cerco di distrarmi dallo sforzo ammirando il paesaggio che mi circonda. Al 75° km, a metà percorso, dopo quasi 10 ore di gara, mi dicono che sono 5°. Fino ad allora non avevo minimamente pensato di competere per il podio, ma da lì una piccola parte di me iniziava a crederci. Dopo il tramonto, cala la notte, le temperature scendono e si torna a respirare. Accendo la frontale: negli ultimi mesi avevo corso spesso col buio, perciò mi sentivo a mio agio. Al 93° km divento 4°, consumo in fretta la cena sempre correndo e reintegro un po’ di liquidi. Arrivo al muro dei 100 km e succede qualcosa di incredibile: sparisce la fatica, non percepisco più le gambe indolenzite e mi sento carico di energie. Era il potere della mente: nelle ore precedenti avevo pensato spesso a questo momento, a questo cambio di ritmo. È stata una sensazione meravigliosa, se ci penso mi vengono ancora i brividi. La mia corsa si è fatta più leggera, la falcata morbida e slanciata, l’umore era altissimo. Mi piace pensare che il fisico mi stesse ripagando di tutti i sacrifici fatti, è stato bellissimo. Di lì a poco supero anche il 3° e proseguo verso gli ultimi 50 km. Mi avvicino alle 17 ore di gara, la fatica comincia a farsi sentire sempre più, così come il sonno. Cerco di correre il più possibile così da sovrastare il bisogno di dormire con l’adrenalina. Il sensore gps che portavo con me, permetteva al personale di gara di tracciare la mia posizione sulla mappa, perciò sapevano sempre quando mi stavo avvicinando a loro. Infatti quando ero in prossimità di un checkpoint, uscivano con le torce per segnalarmi l’esatta posizione.

Un gesto semplice che produceva in me un gran sollievo: dopo ore passate a correre da solo al buio, nella continua lotta contro la fatica, avevo bisogno di calore umano. E nei checkpoint ne trovavo a volontà, tutti gentilissimi, pronti ad aiutarci e incoraggiarci a non mollare.  Ricordo in particolare i ragazzi che mi hanno accolto intorno al 110° km. Insieme al personale di gara c’erano alcuni capoverdiani che cucinavano: mi hanno fatto sedere con le gambe sollevate da terra, poi mi hanno offerto un uovo sodo e una patata lessa. È difficile descrivere le emozioni di quel momento e quanto valore aveva quel piccolo gesto, davvero. Mentre mi avvicino agli ultimi 10 km comincia ad albeggiare. Ormai manca poco, vedo la città in lontananza. Ripenso a quanta strada ho fatto, ripenso al mio coach Luca Zaina, al mio nutrizionista Andrea Zonza e al mio osteopata Daniele Ceccotti che hanno preparato il mio fisico a questo sforzo immenso: grazie infinite ragazzi, senza il vostro aiuto non ce l’avrei mai fatta. Ci siamo. Vedo il traguardo. È il coronamento di un sogno che mi ripaga di tutti sacrifici fatti. Sono 150 km in 23 ore e 44 minuti, secondo assoluto”.