
A oltre due anni di distanza dalla prima ondata pandemica è ancora vivo il ricordo delle difficoltà e dell’ ‘ignoto’ che molti professionisti sanitari hanno dovuto affrontare nel loro lavoro quotidiano. La dottoressa Giuditta Martelli, psicologa clinica di Empoli, è tra quelle che ha vissuto il Covid in prima linea coi pazienti che ha assistito. Da questa intensa esperienza ne è nato un racconto toccante: " Cronache dalla luna". Eccone un estratto. "Quando il 20 novembre 2020 ho indossato per la prima volta il grande scafandro bianco con guanti, casco e mascherina e sono entrata in un reparto Covid, immaginavo che sarebbe stato difficile e sapevo anche che avrei dovuto trovare un modo nuovo per creare relazioni in un ambiente dominato dal codice pandemico della paura. Quello che non sapevo né immaginavo – racconta la dottoressa - è che, una volta varcata la soglia del percorso pulito evidenziata da un nastro adesivo di color rosso posto in terra, mi sarei ritrovata in tutta un’altra realtà, proprio in un altro pianeta".
In questo ‘viaggio’ verso una nuova dimensione, la psicologa ha incontrato Carlo (nome di fantasia). "Carlo è un paziente di anni 53, ricoverato in condizioni molto severe nel reparto di Medicina I Covid. Obeso e con broncopneumopatia cronica ostruttiva, presenta molti fattori di rischio per un’evoluzione critica della malattia e i parametri dell’ossigenazione sono tali da esitare l’immediato uso del casco respiratorio per sessioni prolungate, sia di giorno che di notte. I medici del reparto mi contattano per effettuare una consulenza e valutare la possibilità di aiutare il paziente a sviluppare un miglior adattamento nei confronti del casco. Diventa subito chiara a entrambi la difficoltà nel comunicare. Carlo dentro il casco, io dentro lo scafandro, non riusciamo né a parlarci né a sentirci bene. Al quinto giorno, quando torno da lui – prosegue la dottoressa - Carlo mi indica sul comodino un foglio piegato. Lo apro e trovo un disegno, uno schizzo veloce, fatto di getto in cui è rappresentato un uomo steso su un lettino con il casco e un tubo attaccato a un macchinario che, solo su un pianeta desolato, guarda la Terra che è lontana. Tutto intorno il buio. Ecco la risposta: Carlo non mi parla dal ‘pianeta terra’, lui sta come sulla luna ed è totalmente solo. Attraverso il disegno trovo finalmente le parole che definiscono la situazione e capisco la dimensione della sua sofferenza: la solitudine, e capisco anche che quella stessa dimensione non riguarda solo lui ma appartiene anche a me. Adottando la prospettiva lunare del paziente e riconoscendo quanto appartenesse anche a me è stato possibile l’ascolto vero e la comunicazione vera, quella che passa soprattutto attraverso il silenzio e che non ha bisogno di parole, ma che necessita di presenza". Da circa due anni, con l’arrivo della pandemia, al San Giuseppe è stato ideato e avviato dalla dottoressa Giuditta Martelli un progetto specifico e unico di supporto psicologico, effettuato in presenza al letto del malato.
Irene Puccioni