Coronavirus Toscana, Confindustria chiede rinvio del decreto: "Dateci 72 ore"

Le aziende: "Servono tempi tecnici per chiudere le lavorazioni in corso". Enrico Rossi: "Ci allineiamo alle decisioni governative

Lavoratori in fabbrica con le protezioni (Ansa)

Lavoratori in fabbrica con le protezioni (Ansa)

Firenze, 22 marzo 2020 – Il sistema confindustriale toscano chiede al governo di rinviare di almeno 72 ore l’entrata in vigore del decreto che impone la chiusura delle attività produttive non essenziali, per fare chiarezza e per dare tempo a chi ha lavorazioni in corso di portarle a termine.

E anche il governatore toscano, Enrico Rossi, interviene rivolgendosi con una lettera al ministro per gli affari regionali e le autonomie Francesco Boccia per chiedere di adottare alcuni accorgimenti indispensabili, in modo da evitare effetti controproducenti sull’economia e sulla produzione locale di mascherine protettive, messa in piedi con fatica riconvertendo numerose aziende toscane.

«La Toscana comprende e si allinea alle nuove decisioni restrittive del Governo a tutela della salute pubblica – scrive Rossi – ma suggerisce alcune modalità attuative per evitare effetti controproducenti o imprevedibili sull’economia, l’ambiente e la produzione di energia».

«Serve maggiore chiarezza – spiegano da parte loro gli industriali – sulle disposizioni annunciate dal presidente del Consiglio. Le imprese toscane sottolineano alcune esigenze prioritarie del sistema produttivo per evitare il rischio che la situazione generi conseguenze irreversibili per la futura prosecuzione dell’attività. Chiedono anzitutto tempi tecnici adeguati per chiudere o terminare le lavorazioni in corso, rinviando l’entrata in vigore del decreto di almeno 72 ore. Chiedono, inoltre, assoluta chiarezza sulle aziende che, pure se non inserite nella lista dei codici Ateco anticipata dai giornali, possano proseguire la loro attività perché funzionale alla continuità e al buon funzionamento di quelle ritenute essenziali. In ogni caso – proseguono le 5 associazioni confindustriali della Toscana – occorre che le aziende che devono rimanere aperte non siano individuate solo in base ai codici Ateco, ma sulla base anche delle esigenze delle rispettive filiere, anche internazionali, partendo da quelli che sono definiti i “servizi essenziali”.

Considerano, a questo proposito, fondamentale il ruolo delle Prefetture per una applicazione del provvedimento che non sia pregiudizievole agli stessi settori considerati essenziali. Le imprese della regione sollecitano inoltre la necessità di fare salve tutte quelle attivita’ manutentive, legate a cicli produttivi e non, finalizzate a mantenere efficienti e in buono stato i macchinari e gli impianti, per non pregiudicare la capacità delle imprese di essere produttive alla ripresa delle attività, nonché alle attività di vigilanza. Infine le aziende toscane sottolineano l’importanza del credito e della liquidità, per evitare che la situazione abbia un impatto irreversibile sulle imprese, raccomandando al contempo estrema chiarezza e garantendo immediata operativita’ al ricorso alla cassa integrazione».

Il governatore toscano Rossi da parte sua teme tra l’altro che si interrompa la produzione locale di mascherine protettive faticosamente avviata in Toscana e chiede «di adottare alcuni accorgimenti, in particolare di preservare le attività funzionali a quelle essenziali, chiedendo l’autocertificazione alle imprese; consentire il completamento dei cicli produttivi avviati per non perdere e buttare via semilavorati e prodotti non finiti che andranno consegnati, e di garantire le filiere attivate per la produzione di dispositivi di protezione individuale ‘Made in Tuscany’ sempre mediante autocertificazione per non compromettere – specifica Rossi – questa fornitura faticosamente e fruttuosamente attivata in Toscana. Non chiedo pertanto di allentare le ulteriori misure annunciate – sottolinea il governatore – quanto di adottare alcuni accorgimenti per renderle attuabili e gestibili evitando cortocircuiti».

Rossi ricorda che «la Toscana è tra le regioni che ha saputo attivare una produzione locale di mascherine chirurgiche, camici, tute, visiere, disinfettanti ed in prospettiva lavoriamo anche per una filiera produttiva di ventilatori polmonari. Tuttavia, se non si adotta la possibilità di autocertificare tali filiere produttive, rischiamo che i confezionatori di mascherine smettano di lavorare lasciando scoperti i bisogni di protezione degli operatori sanitari o di altri servizi».