PIERO CECCATELLI
Cronaca

Vescovi contro Salvini: «Sì all’accoglienza»

Decreto sicurezza bis, la Chiesa toscana dalla parte di Giulietti. No comment di Betori

Cardinale Giuseppe Betori

Lucca, 9 agosto 2019 - Il vescovo camminatore continua il pellegrinaggio alla testa di settanta ragazzi della diocesi. Oggi arriveranno alla meta, Argegna, in alta Garfagnana, il gruppo si scioglierà e lui forse replicherà al ministro Salvini che lo ha definito “testimonial del Pd”. Paolo Giulietti, dal 12 maggio arcivescovo di Lucca, non esitò a mostrarsi sui social con il cartello “La disumanità non può diventare legge”, dopo il sì parlamentare al decreto sicurezza bis. Scatenando le ire della Lega toscana, poi del leader nazionale.

Non ha mezze misure, Giulietti, vescovo cinquantacinquenne vigoroso che si presenta in calzoni corti e cappellino. A Salvini si è limitato a dire che il cartello non è del Pd ma di Libera. Quasi un nuovo assist per la destra, arroccata al ministro, all’uomo «che riempie le piazze mentre le chiese sono sempre più vuote». Il centrosinistra invece prende le parti del vescovo, rischiando - ora sì - di farne suo malgrado un reale e autorevole testimonial di se stessa. Spaccati i cattolici, fra i conservatori - in una parola: ratzingeriani - cui non va giù quel vescovo che fa politica attaccando le restrizioni sui migranti e i progressisti della chiesa in evoluzione di Bergoglio, orgogliosi del pastore che non esita a dichiararsi.

Già, Bergoglio. Giulietti è un suo figlio prediletto. Figlio indiretto, cresciuto sotto l’ala di Gualtiero Bassetti, cardinale di Perugia e presidente della Cei, di cui Giulietti fu ausiliare prima di venire in Toscana a camminare da solo. Bergoglio citò Giulietti come esempio della chiesa in cammino (appunto), capace di arrivare a Lucca a piedi da Altopascio: gli si unirono a centinaia, sui sentieri malandati della Francigena. Un segnale di Bergoglio era stato anche l’invio a Siena, altra archidiocesi di storia e prestigio di Augusto Paolo Lojudice, ausiliare nella Roma delle periferie malate, pastore vicino a prostitute e rom. Due scosse alla Chiesa toscana un po’ assopita, il cui faro cardinale Betori resta in silenzio davanti alle bordate di Salvini.

Osservare come i vescovi toscani accolgono lo scontro Giulietti Salvini significa anche capire come si reagisce alla scossa di Bergoglio, andare oltre la schermaglia dialettica destinata ad assopirsi sui media ma dai certissimi strascichi fra altari e sacrestie. Da Siena Augusto Paolo Lojudice indossa la veste di commissario della Cei per le migrazioni e distingue fra emergenza, accoglienza integrazione, «possibilmente non traducendola solo in termini economici facendo passare l’idea che si aumentano le tasse per colpa degli immigrati». E taccia Salvini di “marketing politico” per i grazie alla madonna, con i quali vellica gli elettori credenti.

Toni anni luce distanti dalle parole che da Pistoia pronuncia Fausto Tardelli nel richiamarsi all’antico scisma fra diritto e morale: «Non necessariamente una legge perché fatta da una maggioranza democraticamente eletta, è giusta. Può essere ingiusta anche se fosse riconosciuta ‘costituzionale’». Da Pontremoli e Massa Carrara Giovanni Santucci, sceglie un cascame della polemica Salvini Giulietti: «Piazze piene e chiese vuote? Non è vero e comunque non è il numero che conta, ma è la consapevolezza con cui si partecipa alla liturgia e si sente e si vive la fede». L’arcivescovo di Arezzo Riccardo Fontana, spiega invece: «La mia è la linea cristiana, la linea dell’accoglienza che deve venire prima di tutto. Io stesso, quando sono arrivato ad Arezzo, sono andato in piazza del comune per chiedere la cittadinanza, volevo essere accolto in questa città. Ed è la linea di tutti i vescovi». Giovanni Paolo Benotto, arcivescovo di Pisa cita don Primo Mazzolari: “La maturità politica non sta nell’odiare gli uni e amare gli altri, bensì nell’amare gli uni e gli altri”. E diretto a Salvini: «Certi provvedimenti innescano esclusione e ostracismo come diffuso stile di vita all’insegna dell’individualismo e dell’egoismo più sfrenato». Fra i prelati, insomma c’è chi colpisce dritto e chi preferisce la sponda. Fra i primi ecco dom Bernardo Gianni, abate benedettino guida di San Miniato a Monte di Firenze. Da ieri è fra i sette firmatari del manifesto per “una nuova obiezione di coscienza” contro il decreto bis. Dom Gianni è una scossa bergogliana alla chiesa romana. A Salvini, lui non tira di sponda.