REDAZIONE CRONACA

Riconoscimento anche a cinque pratesi. Ecco le loro storie di coraggio e determinazione

Anna Fondi, Ofelia Giugni, Anna Martini, Tosca Martini e suor Cecilia Maria Vannucchi

Festa della Liberazione, il ruolo delle donne della Toscana: ecco chi sono le eroine mai celebrate

Tra le cinquanta storie ci sono anche quelle di cinque pratesi, raccontate dagli storici e dalle storiche del Museo della deportazione e della Resistenza di Prato e della Fondazione CDSE di Vaiano. Ci sono le comuniste: Anna Fondi, che a Prato insieme al padre organizza gli scioperi nel maggio 1944, e Tosca Martini, che la mattina del 1° maggio 1944 farà sventolare una bandiera rossa da un alto cipresso del paese di Usella; Tosca pagherà con l’arresto e le torture della Banda Carità presso Villa Triste, senza mai rivelare i nomi dei compagni e delle compagne. Sarà fra le arrestate anche Anna Martini (sorella di Marcello, deportato a Mauthausen) per il suo  coinvolgimento nella vicenda di Radio Cora (emittente clandestina creata del Partito d'Azione), ma verrà liberata dai gappisti di Bruno Fanciullacci dal carcere femminile di Santa Verdiana. Fra loro c’è Ofelia Giugni, staffetta le cui ceneri riposano all’ombra dei Faggi di Javello, il luogo della “sua” brigata (sua la foto in copertina al volume). E poi c’è Suor Cecilia Vannucchi, priora del Convento domenicano di San Niccolò che nel 1944 aprì le porte della comunità monastica prima agli sfollati dai bombardamenti e poi anche ai membri del Comitato di Liberazione Nazionale; per il suo coraggio, nel ventesimo anniversario della liberazione della città, il Comune di Prato le conferì una medaglia d’oro. Donne molto diverse le nostre pratesi, ma tutte accomunate da coraggio e determinazione e dalla passione per la giustizia e per i valori della democrazia.

Il progetto nasce da una necessità storica e da una volontà corale che vede la collaborazione di UPI (Unione Provincie Italiane) della Toscana, Rete degli Istituti storici della Resistenza e dell’Età contemporanea della Toscana, Commissione pari opportunità della Regione Toscana e Università degli studi di Firenze

Intanto lo scorso 12 aprile, con un gesto di alto valore simbolico, in consiglio regionale sono state consegnate alle famiglie pergamene di riconoscimento, a testimonianza della volontà di dare, finalmente, il giusto valore all’impegno di tante che agirono per la sconfitta del nazifascismo e per l’affermazione dei valori della democrazia. Alla cerimonia hanno partecipato il presidente del consiglio regionale Antonio Mazzeo, il presidente dell’Istituto Storico toscano della Resistenza e dell’Età Contemporanea Vannino Chiti, il presidente di UPI Toscana Gianni Lorenzetti, la presidente della Commissione regionale Pari Opportunità Francesca Basanieri e la rettrice dell’Università di Firenze Alessandra Petrucci.

 

Anna Fondi

Nasce a Prato nel 1924. Il padre è un fervente antifascista che si rifiuta di farle indossare la divisa da Piccola italiana. Lasciata la scuola per motivi economici, a 12 anni e mezzo inizia a fare l’operaia nello stabilimento tessile del Fabbricone dove entra in contatto con altri antifascisti che, insieme al padre, contribuiscono a formare le sue idee e ad avvicinarla al partito comunista.

Quando nel marzo 1944, su ispirazione del PCI, viene organizzato nell’Italia occupata uno sciopero generale che invoca la fine della guerra e un miglioramento delle condizioni economiche e alimentari, Anna vi partecipa attivamente, anche perché il padre è tra gli organizzatori, e in fabbrica prende contatto con altri antifascisti e contribuisce a informare i lavoratori sulle ragioni della protesta. La partecipazione in Toscana, specie a Firenze, Prato ed Empoli sarà significativa, seguita da una durissima ondata repressiva, con l’arresto e la deportazione di oltre 330 uomini rastrellati in Toscana. Nel dopoguerra si iscrive al Partito Comunista Italiano e diventa responsabile femminile delle donne del PCI. Nel corso degli anni seguenti, Anna ricopre diversi ruoli: lavora alla Camera del Lavoro pratese, è Assessora e dal 1973 lavora nella sanità e nel sociale, sia cittadine che regionali.

 

Ofelia Giugni, partigiana

Nasce a Schignano (frazione di Vaiano, allora nel Comune di Prato) nel 1906, tredicesima di quattordici figli. Da giovanissima si impiega in una fabbrica tessile e fin da subito mostra una forte avversione al regime e a qualsiasi forma di sopruso, tanto che non ha alcuna difficoltà a schiaffeggiare un fascista noto molestatore di sue colleghe.

Dopo l’8 settembre 1943, con l’inizio dei bombardamenti alleati, la famiglia Giugni sfolla alla cosiddetta Casa Rossa, punto di riferimento dei partigiani della zona, che si trova in un’area collinare in prossimità del Monte Javello. Ofelia nasconde renitenti e soldati, permettendo loro di raggiungere i partigiani. Lei stessa partecipa alla Resistenza come staffetta della Brigata “Bogardo Buricchi”, portando instancabilmente comunicazioni, armi e viveri.

Nel dopoguerra le è riconosciuta la qualifica di partigiana combattente; continua a impegnarsi nella vita pubblica per tenere viva la memoria dell’antifascismo e della Resistenza. Si spegne nel 2001 a Prato; le sue ceneri riposano all’ombra dei Faggi di Javello, il luogo della “sua” brigata.

 

Anna Martini, partigiana

Nasce a Prato nel 1924, in una famiglia di insegnanti che in breve si trasferisce a Pistoia. Con lo scoppio del conflitto, la sua vita viene stravolta: il padre, ufficiale di complemento, viene richiamato; non le è più possibile frequentare l’università e la casa di Pistoia viene danneggiata da un bombardamento, costringendo i Martini a sfollare a Montemurlo, in provincia di Prato.

Dopo l’8 settembre tutta la famiglia inizia a collaborare con la Resistenza, tenendo contatti con Radio CoRa e occupandosi dei messaggi cifrati di Radio Londra. Quando Radio CoRa viene scoperta il 7 giugno 1944, vengono arrestati e Marcello, uno dei fratelli di Anna viene deportato a Mauthausen. Anna e la madre vengono detenute per un mese nel carcere di Santa Verdiana. Sono tra le prigioniere liberate dai gappisti di Bruno Fanciullacci il 9 luglio, quando vestiti da fascisti e da tedeschi si presentano al carcere femminile di Santa Verdiana e se ne vanno portandosi via diciassette giovani antifasciste, che stavano per essere deportate o fucilate.

 

Tosca Martini, partigiana

Nata a Cantagallo nel 1914 in una numerosa famiglia contadina della zona, di sentimenti antifascista, Tosca diviene un punto di riferimento per le rivendicazioni operaie e per la propaganda contro il regime. Dopo l’8 settembre 1943 agisce da staffetta nella formazione “Orlando Storai” di stanza sul Monte Javello; aiuta i renitenti a raggiungere i partigiani diventando anche punto di riferimento per le loro famiglie e fidanzate.

Nel suo percorso è cruciale la decisione di far cucire dalle donne, in segno di protesta, una bandiera rossa per la Festa dei Lavoratori del 1944. La mattina del 1° maggio il paese di Usella, nel fondovalle, si sveglia con una bandiera rossa che sventola su un alto cipresso e con manifesti che tappezzano i muri delle case (“morte ai fascisti, fuori i tedeschi e viva il 1° maggio”).

Tosca, ritenuta autrice della protesta, viene arrestata e interrogata numerose volte dalla Banda Carità presso Villa Triste. Torturata per circa due mesi, ma non rivela mai informazioni sulla Resistenza. Tornata a casa, benché debilitata dalle sevizie e dal carcere, continua a dare il proprio contributo all’organizzazione della Resistenza fino al passaggio del fronte in Val di Bisenzio nel settembre 1944. Il 23 aprile 1951 si aprirà a Lucca il processo alla Banda Carità e Tosca Martini verrà chiamata più volte a testimoniare.

 

Suor Cecilia Maria Vannucchi, nata Olga, (1901-1990 medaglia d’oro della Resistenza)

Nata a Capalle (Campi Bisenzio) nel 1901, si trasferisce a Prato dove, nel Convento di San Niccolò, prende i voti con il nome di suor Maria Cecilia Vannucchi. Nel 1933 diviene preside e direttrice del convitto, poi dal 1941 al 1980 è priora del convento e si adopera affinché le porte della comunità domenicana siano aperte agli sfollati dai numerosi bombardamenti. Offre insieme alle consorelle asilo e sostegno, riuscendo inoltre a evitare perquisizioni e rastrellamenti.

Tra la fine di giugno e l’inizio di luglio 1944, Pietro Gini, membro del CLN di Prato in quota DC, si reca a San Niccolò chiedendo a suor Maria Cecilia di accogliere i membri direttivi del comitato. La madre superiora, dopo aver chiesto l’autorizzazione formale a monsignor Eugenio Fantaccini, vicario generale della città di Prato, li accoglie nel convento.

Il coraggio dimostrato in questa fase vale a suor Maria Cecilia un riconoscimento importante: nel ventesimo Anniversario della Liberazione della città, il Comune di Prato le conferisce una medaglia d’oro. Suor Maria Cecilia dal 1945 al 1961 è priora generale dell’ordine domenicano toscano, ma resta a San Niccolò, dove trascorre gli ultimi anni della sua vita. Muore nel 1990, all’età di 88 anni.

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