Pugi, schiacciata d’autore «La ricetta? Rimane mia»

Ha 91 anni il fornaio più conosciuto di Firenze e dispensa perle di saggezza. In ufficio ogni giorno a controllare conti e fatture. «Siamo artigiani di qualità»

Marcello Pugi con una delle sue proverbiali schiacciate

Marcello Pugi con una delle sue proverbiali schiacciate

Firenze, 26 febbraio 2021 - «Quanta schiacciata all’olio ho sfornato? Tanta, tantissima, se la mettessi tutta insieme, ci potrei fare il giro del mondo». Ride Marcello Pugi «ragazzo di 91 anni», come dice di sè. E scivola lentamente indietro, nel corso del suo tempo. E’ lui che ha dato una svolta alle nostre merende, togliendoci dalle grinfie fameliche abnormi focaccione gonfie, alte, dove i denti affondavano come nella gommapiuma. Marcello Pugi è stato il punto di svolta e di non ritorno. Oltre «il Pugi» almeno per un ventennio, c’è stato solo «Il Pugi, senza se e senza ma.  Marcello come l’ha pensata questa schiacciata all’olio?  «Non l’ho inventata, l’ho modificata. Ho provato e riprovato ingredienti, finchè non ha raggiunto il palato come doveva. E quando ho trovato quel che volevo, mi sono fermato».  Tutto è cominciato da?  «Da mio padre che faceva il fornaio e che è morto a 51 anni. Mi sono trovato a dover andare a bottega e imparare il mestiere. Sempre qui, in viale De Amicis dove dal 1925 abbiamo il solito forno. Ci vado tutte le mattine: alle 9,15 apro l’ufficio e controllo fatture, conti, dipendenti. Ma sopratutto i prodotti che debbono essere di qualità: siamo artigiani, si può cadere nell’errore». Che tipo di errore?  «Le farine possono non essere adatte a quel che facciamo. A volte sbagliare ci sta, si può peccare. Chi non fa non falla si dice a casa mia». Signor Pugi sa che è responsabile delle nostre merende?  «Eh lo so. Sono un po’ un babbo per un paio di generazioni. Ricordo i ragazzi che stavano fuori del negozio appolliati sui motorino ad aspettare il loro turno per la schiaccia calda. Ragazzini che ora ritrovo adulti, è una bella sensazione».  E li riconosce?  «Mi è successo da poco che un paio di signori mi abbiano fermato per dirmi che a 14 anni andavano al Campo di Marte a giocare a calcio e poi venivano da me a prendere la schiacciata. Oggi sono dottori, politici e professori. E’ una cosa che fa piacere, ci potrei scrivere un libro».  A novant’anni al lavoro tutti i giorni: ha famiglia? «Mia moglie Piera è la mia vita. Siamo sposati da 58 anni e conosciuti per la strada nel 1955, è stato un colpo di fulmine. Siamo gli ultimi romantici: lei stava alla cassa e collaborava e con me. Non ricordo se abbiamo mai litigato, può essere sia successo, come in tutte le famiglie. Ma quando si vuol bene, si passa sopra a tante cose. Abbiamo un figlio, Lorenzo». Una lezione che ha imparato? «Che nella vita ci vuole pazienza sennò sarebbe sempre un litigare. Io sono uno spirito libero, dentro di me mi pare di avere trent’anni e se ho un problema penso: domani è un altro giorno, si vedrà. L’importante è mantenere la lucidità». E sugli anni che passano che dice? «L’invecchiare funziona così: si diventa più brutti, ma più bravi . E quando ti accorgi che ti sei anche divertito per quasi sessant’anni, costruendo e inventando capisci che non hai voglia di smettere. Anzi: che non smetterai fino all’ultimo».  Ora ce lo dice. «Cosa?» Il segreto della schiacciata.  «Il primo è che la vendo più del pane. E il secondo è che no, la ricetta non la do. Ma sappi che per fare le cose in grandi bisogna curare quelle piccole. Come essere bravi a fare una certa manipolazione dell’impasto. Guardare il tempo e se è freddo saper usare un’acqua diversa da quando è caldo, per la croccantezza». E sulla situazione-Covid? «Mai chiudere gli occhi davanti all’incubo povertà che attanaglia tanti. Penso a due parole: pace e dignità. E a giornate dolenti, che senza lavoro sono senza spina dorsale».