
Giulio Picchi, Filippo Saporito ed Eleonora Riso protagonisti all’evento de La Nazione e Regione Toscana a Firenze. Il manifesto: "La tavola come mappa affettiva di identità, ingredienti, lavoro, volti, storia e paesaggio".
di Gabriele Manfrin
FIRENZE
Ci sono viaggi che non finiscono nel piatto, ma cominciano da lì. Dal seme al raccolto, dal campo alla tavola. In mezzo — tra zolle e fornelli — si gioca la vera partita: quella tra chi coltiva e chi trasforma, tra agricoltura e cucina. Giulio Picchi, Filippo Saporito ed Eleonora Riso — tre cuochi, tre visioni, un’unica sfida: far parlare il cibo. Non solo nel gusto, ma in ciò che rappresenta. Perché dietro ogni pomodoro, ogni erba, ogni pezzo di carne c’è un gesto, una storia, una scelta, un’identità.
Saranno tutti ospiti di Agrofutura Festival, l’evento dedicato a innovazione, agricoltura e cibo sostenibile, nato da un progetto di Qn-La Nazione e Il Resto del Carlino e realizzato insieme alle Regioni Toscana ed Emilia-Romagna. Dopo la tappa bolognese (a metà maggio) Agrofutura arriva a Firenze, il 10 e 11 giugno, a palazzo Strozzi Sacrati, sede della presidenza della Regione (main partner BPER Banca; partner Inalca-Gruppo Cremonini, Orogel, Selenella Green, design Partner Giorgio Tesi Group; in collaborazione con FAI Toscana e Associazione QUORE - QUalità e Origine REte Toscana Dop e Igp.).
Una due giorni di confronto a tutto campo su criticità e nuove sfide del settore, ma anche attese e voglia di fare con tante testimonianze in presa diretta. Come quelle dei tre chef, che animeranno un confronto a più voci – insieme ad Andrea Battiata di Ortobioattivo – mercoledì 11 alle ore 15. Ma ecco un “concentrato“ o, se preferite, un “gustoso estratto“ della loro filosofia.
GIULIO PICCHI
"Non ti servo solo un pomodoro. Ti prendo per mano e ti porto nel campo, a vedere da dove arriva". Il patron del Cibreo di Firenze, ha le idee chiare: il ristorante non è solo un luogo dove si mangia, ma un presidio culturale, un laboratorio di identità. Per lui, cucinare è un gesto di tutela. Di un gusto, ma anche di un paesaggio. "Quando compri un prodotto non stai solo acquistando un ingrediente: stai sostenendo una terra, un’idea di mondo. La tavola, così, diventa una mappa affettiva, una geografia fatta di mani, di volti, di storie". Picchi rifugge ogni trasformazione gratuita. "L’epoca degli chef chimici è finita. Basta con l’elaborazione fine a sé stessa: se trasformi troppo, nascondi. Il rispetto per l’alimento viene prima".
E in un’epoca dove tutto si consuma in fretta, anche la tradizione va protetta. "Non è un quadro appeso: è un organismo vivo. Ma per innovare, devi avere radici forti". E la tecnologia? È un alleato, se la usi per ridurre gli sprechi e migliorare la qualità. Ma non deve mai spegnere la convivialità. La cucina resta, prima di tutto, un gesto sociale. Una tavola condivisa è più potente di qualunque ricetta".
FILIPPO SAPORITO
"Ho visitato solo due scuole da ragazzo: l’Alberghiero e l’Agrario. Per me erano già la stessa cosa". Filippo Saporito non ha mai separato la cucina dalla terra. Lo Chef de La Leggenda dei Frati (Firenze) è uno di quelli che conosce per nome ogni fornitore, ogni seme, ogni pianta. La parola "filiera" non è solo tecnica: è narrativa. Ogni piatto, per lui, è un racconto. "Il cliente deve sentire che c’è una relazione dietro ciò che mangia. Una scelta, un volto, un gesto di fiducia". E la selezione degli ingredienti non è solo ricerca, ma responsabilità: "La cucina ha il potere di rilanciare le produzioni locali. Negli anni Novanta e Duemila tante coltivazioni rischiavano di scomparire, ma la ristorazione le ha rimesse in circolo". Ha iniziato quando i social non esistevano, e il mestiere l’ha visto cambiare. Legato alla tradizione, certo, ma che non costruisce barricate contro l’innovazione: "La tecnologia ha migliorato le condizioni igieniche e ambientali. Oggi abbiamo abbattitori, forni programmabili da remoto… strumenti che fanno risparmiare tempo, energia e costi. Ma la tradizione resta la base".
ELEONORA RISO
"Una zucchina, se la cuoci troppo, muore". Eleonora Riso – 29 anni, formatasi al Cibreo e poi vincitrice di MasterChef Italia 13 – cucina come parla: chiaro, diretto, essenziale. La sua filosofia è una forma di rispetto radicale per l’ingrediente. "Non serve aggiungere per forza. A volte meglio togliere". Per lei ogni prodotto ha una voce, e sta allo chef non soffocarla. "Il mio compito è solo valorizzarla". Come un diamante: non si modella, si lucida. E alla base c’è una cultura contadina interiorizzata, semplice ma profonda. "In Toscana si è sempre fatto tanto con poco. Io cerco di prenderne lo spirito e portarlo in avanti, senza nostalgia, con consapevolezza". Riso crede in una cucina che non urla, ma che lascia il segno. In una filiera che non è solo un processo, ma una relazione viva. E in una ristorazione che non deve per forza stupire, ma accompagnare.