Giornata di amicizia tra copti e cattolici. Storia di una presenza

Dall'Egitto e dall'Etiopia i fedeli hanno un centro nella chiesa di San Mina a Scandicci. Comunità a Borgo e a Viareggio

L'iconostasi nella chiesa di San Mina a Scandicci

L'iconostasi nella chiesa di San Mina a Scandicci

Firenze, 12 maggio 2018 - Il 10 maggio è stata la giornata dell'amicizia tra i cattolici e i copti. Amicizia in Egitto e anche nella “diaspora”: sono tanti i copti, egiziani ed etiopi, che vivono fuori dalla terra d'origine e quando un gruppo di loro si ritrova in una città e assume una certa consistenza, in genere un monaco inviato dal patriarcato va a visitare e prepara il terreno alla nomina di un presbitero, perché possa assistere spiritualmente i fedeli. I copti toscani hanno un riferimento nella chiesa di San Mina a Scandicci, con i presbiteri Bakhomios e Angelos.

Il servizio parrocchiale nell'area fiorentina iniziò quando giunse lo ieromonaco arciprete Barnaba El Soryani nel 1990. Allora la comunità venne ospitata all'interno di una chiesa cattolica nel centro di Firenze. Nel 1994 la Chiesa cattolica donò ai copti la piccola chiesa originaria di San Bartolo in Tuto, poi intitolata a San Mina, in usufrutto illimitato. Vi ha trovato sede anche un'iconostasi in legno intarsiato con icone di tradizione copta dipinte dalle monache di San Damiana. La responsabilità della comunità copta è stata assunta nel corso degli anni da Yahnes El Soryani fino al gennaio 1996, quindi da Bakhomios El Soryani e padre Angelos Gaber Aiad, che garantiscono il servizio spirituale anche ai copti che vivono a Borgo San Lorenzo, a Viareggio e a Gualdo Tadino.

Nel 2015 i circa 400 copti che vivono nell'area fiorentina hanno ricevuto la visita del patriarca Tawadros, intervenuto a Firenze al Festival delle religioni dove propose una lettura del mondo in termini generali molto suggestivi: l'Oriente come grande tempio, l'Occidente come laboratorio in cui sono nate le scienze, mentre “in Medio Oriente ci troviamo a metà strada” tra estremismo e ripetuti atti di terrorismo. Ma forse lo scenario è frutto di contaminazione e non a caso il patriarca copto osservava come l'Occidente esprimerebbe terrorismo intellettuale, mentre l'Oriente il terrorismo delle uccisioni. Quale può essere una scelta per mettere in scacco questa separazione foriera di divisioni e di morte? Quella che sembra convenire di meno: una scelta disarmata di vita quotidiana per la quale i copti egiziani vivono nella pazienza e nel martirio.

Nell'omelia pronunciata il 31 dicembre scorso dal cardinale Giuseppe Betori nella cattedrale di Santa Maria del Fiore, l'arcivescovo sottolineò come l’anno che si concludeva era stato “segnato ancora ahimè dal ripetersi di atti di terrorismo che, addirittura abusando del nome di Dio in modo blasfemo, seminano morte e angoscia in tutto il mondo, ancora in questi giorni tra i nostri fratelli cristiani copti in Egitto”. Violenza che colpisce ma non prevale. Anba Epiphanios della Chiesa copta guidata da Papa Tawadros ha dichiarato in un convegno internazionale: “Quando ci sono stati attacchi contro le chiese, giovani musulmani hanno offerto i loro corpi come scudi umani per proteggerci”.  

Michele Brancale