
L’ex comandante della stazione carabinieri di Rifredi, Paolo Morabito
Firenze, 10 dicembre 2021 - L’ex comandante della stazione dei ca rabinieri di Rifredi, il maresciallo Paolo Morabito, è stato condannato a tre anni e dieci mesi, in abbreviato, dal gup Angela Fantechi. La pena poteva essere molto più alta: il pubblico ministero Christine Von Borries aveva infatti chiesto una condanna a nove anni e sei mesi. Ma il giudice ha assolto Morabito, assistito dall’avvocato Federico Bagattini, dalle accuse più ingombranti, quelle di concussione. "Tutti i testimoni hanno dichiarato che il maresciallo Morabito non ha mai abusato della sua funzione", dichiara Bagattini dopo aver ascoltato la lettura del dispositivo. Resta in piedi l’accusa di truffa ai danni dello Stato e falso ideologico in atto pubblico, "reati - commenta ancora il difensore - per i quali si confida che in appello sia ridotta significativamente la pena". I guai dell’ex comandante della stazione di via Locchi, una sorta di istituzione nel quartiere di Rifredi per i suoi tanti anni di militanza alla guida della caserma, iniziarono con la trasformazione di un suo fondo di via delle Panche in appartamento. Per fare quei lavori, condotti, secondo l’accusa, "abusando sistematicamente della qualità di comandante della stazione carabinieri di Rifredi", si sarebbe rivolto a persone a lui note per i passati guai giudiziari. Ma al momento di saldare il conto, dopo aver assunto, sempre secondo l’accusa, "toni aggressivi e offensivi", avrebbe contestato la qualità dei lavori della ditta di muratura e all’elettricista, fino a minacciare i due di far valere i propri poteri di pubblico ufficiale per arrecare loro un danno. Un’ipotesi di concussione, che il giudice non ha però rilevato. "Dal processo è emerso che i lavori erano stati fatti davvero male", spiega ancora Bagattini. Nei tre anni e dieci mesi comminati, rientra invece tutto il resto dei capi di imputazione. Sempre a causa di questi lavori di ristrutturazione, il comandante di Rifredi avrebbe attestato falsamente la sua presenza in servizio quando invece "si assentava dall’ufficio per diverse ore per curare interessi personali e familiari di vario genere". In alcuni casi poi, sempre secondo quanto emerso nel corso delle indagini, compilando alcuni verbali per denunce di furto avrebbe attestato falsamente che erano stati redatti alla presenza degli interessati quando invece gli sarebbero stati inviati per posta elettronica firmati. In un caso, avrebbe firmato lui direttamente al posto di una cittadina. Infine, un accesso abusivo allo "Sdi", la banca dati delle forze dell’ordine: avrebbe infatti ordinato a un suo subordinato, un brigadiere, di reperirgli un numero di telefono di una persona, ma la questione non riguardava doveri d’ufficio.