Demografia e Covid, la ministra Bonetti: "Invertire il fenomeno della denatalità"

Presentato il primo rapporto del Gruppo di ricerca nel corso del webinar moderato dalla direttrice de La Nazione, Agnese Pini dal titolo 'Emergenza pandemia: quale impatto su natalità e nuove generazioni?'

La Ministra Elena Bonetti

La Ministra Elena Bonetti

Firenze, 14 dicembre 2020 – Sono stati presentati oggi nel corso del webinar “Emergenza pandemia: quale impatto su natalità e nuove generazioni?”, promosso dal Dipartimento per le politiche della famiglia in collaborazione con l’Istituto degli Innocenti, i risultati del rapporto di ricerca curato dal gruppo di esperti su demografia e Covid-19, voluto dalla Ministra per le Pari Opportunità e la Famiglia, Elena Bonetti, e coordinato dal professor Alessandro Rosina, circa gli impatti della crisi epidemiologica da Covid-19 sulla natalità e sulle scelte familiari in Italia.

“I numeri - ha spiegato la Ministra Elena Bonetti – raccontano di un Paese che ha il desiderio di ripartire ed è su questo che bisogna insistere e orientare le nostre scelte, avendo il coraggio e la lungimiranza di attivare processi. L’elemento dell’attivazione del desiderio è lo snodo fondamentale da cogliere e favorire, a livello individuale e collettivo. Il tema demografico è strettamente collegato alla dimensione economica, alla prospettiva di realizzazione personale, al tema comunitario e a quello del lavoro, in particolare delle donne. Nell’esperienza sociale del nostro Paese le donne sono state poste davanti alla decisione se essere madri o lavoratrici, creando un’antitesi assolutamente inadeguata, perché  l’effetto è stato avere poche donne che lavorano e un basso tasso di natalità. Il lavoro femminile è esso stesso incentivo alla natalità – ha rimarcato la Ministra Bonetti -, perché mette le donne nelle condizioni di poter esercitare una scelta veramente libera su di sé, anche nell’espressione della propria femminilità attraverso l’eventuale scelta della maternità. L’antitesi tra maternità e lavoro non ha funzionato. Adesso occorre un cambio di visione”.  “Il Paese deve aprire gli occhi e dire che ha usato la strategia sbagliata, anche da un punto di vista culturale – ha aggiunto la Ministra -. Dobbiamo smettere di pensare che per essere una buona madre una donna non possa lavorare e viceversa. C’è anche un tema di responsabilità collettiva, perché l’esperienza della maternità non è un periodo di ferie che la donna prende per rispondere ad un proprio diritto personale, è un tempo che va valorizzato anche nel mondo del lavoro come occasione per la collettività di fare un passo avanti. Per questo occorrono politiche di organizzazione del lavoro adeguate, per le donne e per gli uomini, con un riconoscimento della maternità nella carriera della donna. Per sanare i gap che abbiamo serve applicare forze positive: decontribuzione del lavoro femminile, decontribuzione del lavoro domestico e sostegno alle spese delle famiglie per il lavoro domestico. C’è, infine, il tema della promozione della formazione nei settori innovativi: digitale e materie Stem, per abilitare le donne ad entrare da protagoniste nei mondi delle professioni dell’oggi e del futuro. Accanto questo, occorre facilitare l’ingresso nel mondo del lavoro delle donne dopo la maternità, rendendo agevole la sostituzione di maternità da parte delle imprese, dare alle donne strumenti di carattere economico e creare le condizioni di comunità, che permettano alle donne di vivere un’esperienza lavorativa, non solo asili nido ma anche tutti quei servizi comunitari che sono accanto e al servizio delle famiglie nella cura e nell’educazione dei figli. Su questo – ha concluso – intervengono i progetti che ho inserito nel Piano della Next Generation Eu”.

 

“La demografia – ha spiegato Alessandro Rosina, professore ordinario di demografia e statistica sociale dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e coordinatore del Gruppo di Ricerca - è uno dei principali ambiti colpiti dalla pandemia, sia per l’effetto diretto sull’aumento della mortalità, sia per le conseguenze indirette sui progetti di vita delle persone. Inoltre, come ben noto, la situazione del nostro Paese risultava su questo fronte già da molto tempo particolarmente fragile e problematica. Il maggior invecchiamento della popolazione ci ha resi maggiormente esposti alla letalità del virus. I fragili percorsi formativi e professionali dei giovani in Italia (soprattutto se provenienti da famiglie con medio-basso status sociale), i limiti della conciliazione tra vita e lavoro (soprattutto sul lato femminile), l’alta incidenza della povertà per le famiglie con figli (soprattutto oltre il secondo), con il contraccolpo della crisi sanitaria rischiano di indebolire ancor di più la scelta di formare una propria famiglia o di avere un (altro) figlio. Anche l’aumentato del senso di incertezza va in tale direzione. Da un lato, i livelli ante Covid-19 su questo insieme di indicatori non possono essere considerati una normalità positiva a cui tornare. D’altro lato le conseguenze dell’impatto della crisi sanitaria non sono scontate e potrebbero portare - come già accaduto con la recessione del 2008-13 - ad un adattamento al ribasso, andando così ad accentuare in modo insanabile squilibri demografici incompatibili con uno sviluppo futuro solido del nostro Paese”. “Riguardo alle nascite – ha proseguito Rosina -, i dati parziali dei primi otto mesi dell’anno evidenziano già una riduzione di oltre sei mila e quattrocento nati rispetto allo stesso periodo del 2019. Questo significa che, al netto della pandemia, nel 2020 si preannunciava già una ulteriore diminuzione della natalità. Di particolare rilevanza, per le ricadute sulla scelta di avere un (altro) figlio, sono anche i dati sull’occupazione, sulle prospettive di stabilità dei percorsi professionali e sulle possibilità di conciliazione tra tempi di vita e di lavoro. Nel II trimestre 2020 il tasso di occupazione femminile risulta sceso al 48,4%, consolidando la distanza rispetto alla media europea ma anche accentuando il divario di genere nel nostro Paese (la distanza rispetto all’occupazione maschile è salita da 17,6 punti percentuali dello stesso trimestre del 2019 a 18,2). Sempre prendendo a confronto secondo trimestre 2020 rispetto all’anno precedente, si osserva una riduzione del tasso di occupazione pari a -0,8 punti percentuali in età 50-64 anni, di -1,6 nella fascia 35-49, di -3,5 in quella 25-34 anni ( -3,2 in quella più ampia 15-34). A essere più colpita risulta, quindi, essere la classe che già risultava con più ampio divario rispetto alla media europea, ma anche quella più delicata per la costruzione dei progetti di vita”. All’evento, moderato dalla direttrice de La Nazione Agnese Pini, hanno partecipato: Ilaria Antonini, Capo del Dipartimento per le Politiche della Famiglia, Sabrina Prati, dirigente Servizio registro della popolazione, statistiche demografiche e condizioni di vita, Istat; Alessandra De Rose, professoressa ordinaria di demografia Università degli Studi di Roma “La Sapienza”; Anna Cristina D’Addio, Senior Policy Analyst – Gem Report; Elena Ambrosetti, professoressa associata di demografia, Università degli Studi di Roma “La Sapienza”; Lucia Abbinate, direttore generale, Agenzia nazionale per i giovani; Corrado Bonifazi, CNR – Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali; Gianluigi De Palo, presidente del Forum delle associazioni familiari; Sandro Gallittu, in rappresentanza di Cgil, Cisl e Uil; Lucia Scorza, Confindustria. Il Rapporto presentato è il primo prodotto pubblico del lavoro svolto, reso disponibile sul sito web dedicato (http://famiglia.governo.it/demografia-e-covid-19/) assieme a continui aggiornamenti attraverso dati, resoconti delle ricerche in corso, risultati acquisiti.

 

Maurizio Costanzo