
Alessandro Benvenuti
Firenze, 19 marzo 2020 - In che modo il coronavirus cambia le nostre vite? Ne parliamo con Alessandro Benvenuti, settant'anni, attore e regista teatrale e cinematografico, direttore artistico dei teatri di Siena e di Tor Bella Monaca a Roma. Nel suo capolavoro teatrale e cinematografico, Benvenuti in casa Gori si raccontano liti e contrasti familiari Benvenuti in casa Benvenuti. "Benvenuti in casa e basta".
Già. Il cognome è un accessorio. Siamo tutti nello stesso tinello. "Bisogna accettare e aiutare a combattere il pericolo".
Come l'ha presa? "Colpito da due aspetti. Il primo è che questa è la guerra della generazione che non ha fatto la guerra. Poi, per la prima volta viene bypassata la politica. Si dà retta a chi ne sa palesemente più di noi".
Come immagina le famiglie italiane, costrette a convivere notte e giorno? "Sempre pensato che la famiglia sia fonte di patologie e malattie e leggo che a Wuhan, epicentro cinese del coronavirus, dopo l'epidemia si sono moltiplicati separazioni e divorzi".
In casa Gori basta un pranzo di Natale a far esplodere liti e contrasti. Qui durerà mesi... "Ma non è scritto che si debba litigare per forza. In casa Gori, dietro ogni baruffa c'è enorme affetto. In fondo, chi saremmo un po' tutti noi, se non ci fossero i parenti?".
In che senso? "Fra parenti ci si conosce, si conoscono le storie, tu conti qualcosa per loro e loro per te. Senza parenti saremmo più soli e insignificanti".
Lei, come se la passa, in casa? "Siamo io, mia moglie Chiara e il pappagallino. Le mie tre figlie abitano a Roma, in Toscana e a Bruxelles, sono simpatiche, mi manca la loro presenza. Una, poi si è pure portata via il cane. Per me e Chiara, questa convivenza forzata è una bella scoperta".
Perché? "Vivo ramingo fra teatri e spettacoli. Stare a casa senza sapere quando ripartirò e tenendo fuori della porta il nemico invisibile crea solidarietà, tenerezza. Che alimentiamo ascoltando musica, guardando la tv. E parlando molto".
Dov'è finito il Benvenuti orso e scontroso? "Lo sono, ma nella parte pubblica. Niente salotti, usciamo poco. E non sono social".
Tutti gli attori, durante la clausura, i social li usano per continuare a recitare, a mostrarsi. "Con tutto il rispetto per chi fa piccoli show domestici on line, mi sento uomo di teatro e non credo che il teatro si adatti allo smart working".
Quindi, finché non passerà la bufera, niente Benvenuti. "Invece sì. Scrivo un diario. Racconto le mie giornate sul profilo facebook di un fan club che mi ospita. Da uomo di lettere lo trovo il modo più consono di esprimermi".
Come fa? "Ogni sera, alle dieci scrivo un capitolo del 'Diario di un non intubabile'. Una specie di romanzo biografico a puntate ( eccone un saggio: https://m.facebook.com/story.php?story_fbid=10157271633948237&id=46605873236).
E il lavoro?
"Su Sky procedono i racconti del BarLume. Con lo stop a tutte le produzioni penso alle prossime stagioni dei miei teatri: Siena, Roma. Riapriranno un bel giorno, anche i teatri".
Mai pensato a come sarebbe casa Gori, al tempo dei social? "Mai avuta la tentazione di attualizzarne la storia"
E immagina che caos, tutti chiusi in poche stanze con l'emergenza coronavirus? "I Gori sono ancora lì. Fermi al giorno di Natale del 1986. La gente si emoziona, incontrandoli, come succedeva trentatré anni fa. Hai i social, ma non esci e sei lì, col telefono, il videoregistratore e il televisore acceso che assolve alla funzione che un tempo aveva il focolare: illumina tutto, anche se non riscalda. Dia retta, non c'è bisogno che i Gori si aggiornino ai tempi che corrono. E sa perché?"
Dica. "Perché sono i tempi, con la clausura di oggi, ad esser tornati indietro. Chiusi in casa, attorno alla tv, tutti assieme. Con gli stessi sentimenti di allora. Non è che oggi siamo più intelligenti di una volta. Lo fossimo, il mondo sarebbe migliorato rispetto a trentatré anni fa. E ditemi: vi sembra migliorato?".
Piero Ceccatelli