STEFANO CECCHI
Cronaca

Bernabei, il rivoluzionario con la c aspirata: la sua Rai era per la gente

Uomo forte di Fanfani creò un grande conten itore culturale. Dalla calzamaglia ’democristiana’ delle Kessler all’errore di non capire i Beatles

Kessler

FIRENZE, 25 maggio 2021 - Non ha mai avuto un profilo Twitter né una pagina Facebook, eppure è stato il più grande influencer della storia di questo Paese. Chi non lo ama lo liquida con la formula del "bacchettone oscurantista" e di certo non si può dire sia stato un trasgressivo progressista. Lo stesso , se l’Italia dopo la guerra è cresciuta culturalmente e si è solidificata nella democrazia lo si deve anche a lui e alla "sua" Rai. Lo si deve al fiorentino Ettore Bernabei, classe 1921, che fra pochi giorni fa avrebbe compiuto 100 anni. Giornalista cattolicissimo e democristianissimo, Bernabei fu quello che per capirci definiremo l’uomo di fiducia di Fanfani. Se Amintore era il politico delle strategie e del pensiero alto dentro il partito cattolico, Ettore era il suo uomo del fare, il dietroquintista che tesseva e filava. A Fanfani lo aveva presentato un altro dc che a Firenze qualcosa contava, ovvero quel Giorgio La Pira che, sono parole di Bernabei, "da Palazzo Vecchio applicò la sua architettura cristiana dello Stato, mantenendo alcune promesse come il lavoro per i disoccupati, la casa per i senza casa, una chiesa dove pregare".

La sinistra Dc sostanzialmente era questa roba qua: sul piano sociale l’unica alternativa concreta al Pci. Tant’è. Direttore del quotidiano fiorentino "Il Mattino dell’Italia centrale" e poi del "Popolo", la svolta per Bernabei arrivò quando Fanfani lo volle alla Rai come direttore generale. Era il 1961, sulla tolda dell’azienda tv rimase fino al 1974 e in quei 13 anni trasformò la Rai e pure l’Italia. Certo, molti oggi lo ricordano per alcune scelte che sembrarono dettate da un baciapilismo servile. Come quella di far fuori da Canzonissima, dopo averlo voluto, Dario Fo. O come l’altra, più folkloristica, di aver fatto indossare alle Kessler la calzamaglia per coprire le gambe. «La calzamaglia era strategica. – ha raccontato poi – Grazie a essa l’italiano medio dimenticava la cellulite della moglie, ma gli restava il dubbio su come fossero davvero le gambe delle Kessler. La famiglia era salva e le Kessler mandavano gli italiani a dormire tranquilli, gli italiani che poi dovevano votare". Ecco, quest’idea del rasserenare, del "mandare a letto la gente serena perché poi nell’urna votasse il partito di governo", è roba che oggi diremmo appartenere agli strateghi più raffinati della comunicazione. Allora invece sembrava il ruzzo artigianale e un po’ beghino di un piccolo conservatore di provincia. Che errore. Perche Bernabei, dietro quel suo italiano fatto di termini popolari e c aspirate era a suo modo un visionario che, pur difendendo i valori del cattolicesimo più severo che sentiva propri, fece lo stesso crescere l’Italia culturalmente e socialmente.

La sua Rai è stata la tv di Stato mai più superata per qualità della produzione. Una Tv pedagogica, come si usava dire allora, ma aperta al popolo, alle masse da alfabetizzare, al ceto medio da educare. E dunque Tv7, il grande varietà, gli sceneggiati tratti dai classici della letteratura, gli Atti degli Apostoli di Rossellini e il Gesù di Zeffirelli. Ma anche il teatro, lo straordinario Maigret di Gino Cervi, Zavoli che processava la tappa e Alberto Manzi che insegnava a leggere e a scrivere agli italiani suggerendo loro che non fosse mai troppo tardi. E poi gli intellettuali corrosivi e non certo filo Dc ai quali aprì le porte: da Enzo Biagi ad Alberto Ronchey, da Arrigo Levi a Angelo Guglielmi e Umberto Eco, fino a Brando Giordani e Renzo Arbore. Sì, la Rai di Bernabei è stato il più grande contenitore culturale ed educativo che questo Paese abbia mai avuto. Dove a fare da bussola era il merito e il sapere e non certo l’idea che tutti possono far tutto o che uno vale uno.

Un modello forte contro la deriva populista di oggi alla quale Bernabei non ha mai fatto sconti: "Negli ultimi 25 anni – raccontò in una delle ultime interviste – si è tentato di fare una Tv analgesica, priva di contenuti perché distraesse il pubblico e non disturbasse il manovratore. L’assurdità è che i reality che dovevano essere degli ansiolitici sono risultati delle droghe e, come le droghe, in una prima fase esaltano e poi deludono". Bernabei è morto nell’agosto di 5 anni fa e si sbaglierebbe a santificarlo. Di errori ne ha fatti e pure di clamorosi. Come quella volta che non volle mandare in onda i Beatles "perché è inutile trasmettere il concerto di questi ragazzi che tra un mese nessuno ricorderà!". Lo stesso, ogni volta che oggi col telecomando attraversiamo dal divano i canali tv, si ha come l’idea che nonostante l’abbondanza manchi qualcosa. Manchi il rispetto per il pubblico, manchi l’educazione al bello, manchi la celebrazione del sapere e la necessità dello studio. Per molti qualcosa di obsoleto e di arcaico, a me pare invece che il futuro non possa che ripartire da dove eravamo.