Almanacco del giorno: 15 settembre 1864, "Convenzione" verso Firenze Capitale

Napoleone III pretese il trasferimento della Capitale, Torino si ribellò e ci furono 59 morti e 187 feriti. Firenze intanto viene preferita a Napoli e cambia volto attraverso l’opera urbanistica di Giuseppe Poggi

Firenze Capitale, il re in piazza della Signoria in un quadro di Enrico Fanfani

Firenze Capitale, il re in piazza della Signoria in un quadro di Enrico Fanfani

Firenze, 15 settembre 2021 - Era il 15 settembre del 1864 quando, nella reggia di Fontainebleau, si concluse l’accordo bilaterale italo-francese della ‘Convenzione di settembre’che avrebbe cambiato, per sempre, la storia del nostro Paese. In base a tale patto, il Regno d’Italia si impegnava a non invadere lo Stato pontificio, e da parte sua, l’Impero Francese gli garantiva il ritiro delle truppe che presidiavano Roma. A garanzia dell’impegno preso dall’Italia, Napoleone III pretese però una condizione non da poco: il trasferimento, entro il termine perentorio di sei mesi, della Capitale da Torino a un’altra città. Sarebbe stata la prova incontrovertibile della rinuncia italiana a Roma capitale.

 

Dopo aver vagliato anche l’ipotesi di Napoli, scartata perché, essendo sul mare ,ciò la rendeva strategicamente esposta e dunque poco sicura, la decisione finale ricadde su Firenze. Città la cui topografia era ideale per fungere da raccordo tra l’Italia del nord con quella del sud. Un trasferimento che sarebbe stata senza ritorno, a dispetto della lunga fila di scontenti. E anche dello scarso entusiasmo degli stessi fiorentini, presi dal timore che la loro città potesse essere stravolta. Un timore che Bettino Ricasoli consegnò alla storia con la celebre frase: “Una tazza di veleno che ci tocca sorbire”.

 

Lo scottante protocollo aggiuntivo della ‘Convenzione di settembre’, sarebbe dovuto, almeno inizialmente, rimanere segreto. Ma neppure una settimana dopo, la notizia dello spostamento della capitale era già sui giornali torinesi. I disordini tanto temuti, sfociarono in rivolta in un baleno:  il 20 settembre le vie della città sabauda si riempirono di gente inferocita che sfilavano gridando ‘Roma o Torino. Abbasso la Convenzione! Viva Garibaldi!’. La tensione crebbe ancora, toccando l’apice il 22 settembre, quando in migliaia si radunarono in pizza San Carlo. Le forze dell’ordine non riuscirono a contenere la folla e la reazione scoppiò violentissima. Quel giorno, passato alla storia come la ‘Strage di Torino’, si concluse con un drammatico bollettino di sangue: 59 morti e ben 187 feriti tra dimostranti e Carabinieri. Nonostante la rivolta repressa nel sangue, il malcontento dei ministeriali restii al trasferimento, unito a quello dell’alta borghesia che temeva per i propri interessi economici, la decisione era oramai irreversibile.

 

L’addio si consumò il 30 gennaio 1865, con l’ennesima, feroce dimostrazione di risentimento della città nei confronti del suo re. Nel giorno in cui avrebbe dovuto svolgersi a Palazzo Reale il gran ballo, la folla riunitasi a ridosso del cancello, accolse lo sfilare delle carrozze con sassi lanciati contro i vetri. Quando il re si affacciò da una delle finestre della reggia per capire cosa stesse succedendo, fu sommerso da fischi e urla di protesta. Nella reggia invece, le sale erano vuote: la maggioranza degli invitati non si era presentata, molte dame, già vestite per il ballo, erano rimaste in casa, e tantissime carrozze in arrivo, per paura dei rivoltosi, tornarono indietro.

 

Indispettito, il re convocò il Consiglio dei ministri il 2 febbraio, e decise di partire alla volta di Firenze il giorno successivo, per fugare ogni possibile dubbio sulla possibilità di ritornare sulle proprie decisioni. Era il 3 febbraio 1865, alle 22.30 in punto, quando Vittorio Emanuele giunse nel capoluogo toscano accolto da grandi festeggiamenti e da un tripudio di folla entusiasta. Le autorità cittadine lo stavano attendendo, le cronache narrano dell’abbraccio fra il re e l’anziano, autorevole senatore Gino Capponi, ormai cieco. La Guardia nazionale schierata in pompa magna scortava il corteo, le torce illuminavano a giorno le vie gremite dalla stazione a Palazzo Pitti, ovunque un tripudio di bandiere. Ma nei giorni seguenti il re - che la decisione di Firenze Capitale l’aveva avallata ma mai del tutto condivisa - non seppe resistere alla tentazione di andare a caccia nella tenuta di San Rossore.

 

Come ambienti privati del maestoso Palazzo Pitti, Vittorio Emanuele II scelse il lato della Meridiana, che consentiva libertà di movimento e anche riservatezza durante le uscite e le entrate dall’edificio. Il magnifico Salone dei Cinquecento accolse la Camera dei Deputati, sempre dentro Palazzo Vecchio trovò sede il ministero degli Esteri. La presidenza del Consiglio e il ministero dell’interno furono allestiti con gli uffici a palazzo Medici Riccardi, mentre i prestigiosi spazi degli Uffizi ospitarono il Senato. Era il 18 novembre del 1865 quando il nuovo Parlamento si insediò, dando il via alla IX legislatura del Regno d’Italia. Intanto a Firenze nel 1859 Bettino Ricasoli aveva dato vita al giornale ‘La Nazione’, il più antico quotidiano italiano, il cui obiettivo, per i primi dieci anni, è stato quello della causa nazionale.  

 

Lo spostamento della capitale dette il via al cosiddetto risanamento di Firenze.  La città cambiò volto, adeguandosi al nuovo ruolo, attraverso l’opera urbanistica di Giuseppe Poggi. furono abbattute le antiche mura e al loro posto, sul modello di Parigi, realizzati i viali di circonvallazione, che culminano nel piazzale Michelangelo. Si progettano grandi parchi e giardini, si abbattono vecchi edifici. Questi lavori attirano l’interesse di palazzinari e banchieri, e si assistette ad un vero e proprio esodo dalle campagne e da tutta Italia. Dal 1865 al 1871, la nuova capitale non crebbe solo in superficie, ma anche in popolazione, facendo segnare un incremento demografico del 58%. La prima rilevante manifestazione pubblica di importanza nazionale fu l’inaugurazione del monumento di Dante Alighieri nel seicentesimo anniversario della sua nascita: cerimonia che si svolse il 14 maggio del 1865 alla presenza dello stesso re Vittorio Emanuele II.

 

Fu il papà di Pinocchio, Carlo Collodi, a capire per primo che la provvida incoronazione di Firenze Capitale, avrebbe lasciato in eredità più costi che benefici. E infatti, quando la parabola giunse al termine, dopo soli sei anni (iniziata il 3 febbraio 1865 e terminata il 3 febbraio 1871), i fiorentini dovettero sobbarcarsi il peso di ben 200 milioni di debito da colmare. L’esperienza, seppur brevissima, incise dunqe e non poco sulla città. Firenze Capitale del Regno d’Italia costò, di fatto, alle casse del Comune il fallimento finanziario. In realtà, quella del capoluogo toscano, era solo una tappa di avvicinamento a Roma, ipotesi mai accantonata. Ci pensò la grande storia a far concludere la parabola fiorentina: con la caduta di Napoleone III, e la sconfitta di Sedan contro le forze prussiane, venne meno la protezione che l’Imperatore aveva garantito al Papa. Il 20 settembre 1870 le truppe italiane entrarono nella città di Pio IX attraverso la Breccia di Porta Pia e il 23 dicembre di quell’anno la Camera dei deputati approvava il trasferimento della capitale a Roma.  Più complessa l’approvazione al Senato, come l’abbandono di Firenze da parte delle istituzioni. Era il 3 febbraio 1871 quando Roma venne dichiarata capitale d’Italia. Ma questa è un’altra storia. 

Nasce oggi

Agatha Christie, nata il 15 settembre 1890 a Torquay, Regno Unito. Scrittrice e drammaturga britannica, regina del giallo. Ha detto: “La vita ha spesso una trama pessima. Preferisco di gran lunga i miei romanzi”.