Almanacco del 4 novembre: il giorno dell’Alluvione di Firenze e del Milite Ignoto

Nel 1966 l’Arno tracimò devastando il centro di Firenze e i suoi monumenti: La Nazione raccontò il dramma e l’orgoglio della città. Oggi ricorre anche il centenario della traslazione del Milite Ignoto a Roma. Due simboli per cui, dopo momenti drammatici, il Paese si ritrovò unito

L'alluvione di Firenze e l'Altare della Patria

L'alluvione di Firenze e l'Altare della Patria

Firenze, 4 novembre 2021 – Il 4 novembre è un giorno di ricordo e di memoria. Era il 4 novembre del 1966 quando l’Arno straripò devastando parte della città, mietendo vittime e provocando immensi danni all’inestimabile patrimonio artistico di Firenze. In questo stesso giorno, ma del 1921, esattamente cento anni fa, la salma del Milite Ignoto veniva inumata nell’Altare della Patria del Vittoriano di Roma. Due storie che abbiamo scelto di raccontare, e accomunare, non solo perché le loro celebrazioni cadono lo stesso giorno. Ma soprattutto per lo spirito di unità nazionale che, entrambe, anche se in epoche e per ragioni diverse, seppero ispirare. Giovani e adulti, dal nord come dal sud, mai come a Firenze si ritrovarono insieme per salvare il patrimonio di una delle città più importanti al mondo, passando alla storia come gli Angeli del fango. E mai come durante l’ultimo viaggio del Milite Ignoto, il cui convoglio venne aspettato, accolto e salutato da ali di folla in lacrime, l’Italia intera accorse commossa alle stazioni ritrovandosi unita. Due simboli in cui ritrovare, ieri come oggi, i valori e le ragioni fondanti della nostra unità e comunità nazionale.

 

4 novembre del 1966. Firenze è ferita a morte dal suo fiume

 

La colata di acqua e fango che sommerse il centro storico Firenze è ben scolpita nella memoria dei fiorentini e del mondo intero. Prima però che la furia dell’Arno travolgesse il centro storico della città, quello era un giorno festivo. Nell’anniversario del 4 novembre 1918, chiamato il «giorno della vittoria», si celebrava infatti la vittoria dell’Italia contro l’Austria e la fine della prima guerra mondiale. La terribile notte del 4 novembre 1966 cambiò tutto, anche questo. L’Arno cominciò a straripare qualche minuto prima delle cinque, quando il buio era ancora fitto. In poche ore una marea di fango e detriti travolse le abitazioni e i monumenti della città. L’acqua entrò nel Battistero, dentro Palazzo Vecchio, nel Duomo come nella Biblioteca Nazionale, fino a raggiungere un livello di quasi cinque metri. Provocherà  gravi danni a numerose opere d’arte e al patrimonio delle biblioteche storiche: migliaia di volumi, tra cui preziosi manoscritti, vennero ingoiati dal fango. Quando l’Arno prese a tracimare, venne sommerso parzialmente anche lo stabilimento de La Nazione di via Paolieri, inaugurato appena un mese prima, con la modernissima rotativa lunga 86 metri . Saltarono luce, telefoni e tutti i macchinari. Eppure il direttore Mattei decise che il giornale doveva uscire ad ogni costo per informare la città, l’Italia e il mondo, su quello che stava accadendo a Firenze.

La sera del 4 novembre il telegiornale aveva parlato di semplici “allagamenti a Firenze”. E anche nei giorni successivi, il governo, da Roma, non aveva ben compreso l’eccezionale gravità dell’accaduto. Il direttore Mattei pensò allora di spedire alcuni giornalisti al Resto del Carlino di Bologna: da lì confezionarono le edizioni de La Nazione che, in mille modi avventurosi e coraggiosi, venne distribuita ovunque. È anche grazie a questa testimonianza puntuale e precisa, in tutta la sua drammaticità, se ancor prima del governo, il mondo raccolse l’appello di Firenze, rispondendo con la straordinaria e concreta generosità delle migliaia di ‘Angeli del fango’. L’Arno si ritirerà dalle strade soltanto due giorni dopo, lasciando Firenze sotto un mare di fango. Di fronte a quella catastrofe, tutta Italia, e non solo, si mobilitò al fianco dei fiorentini, contribuendo a mettere in salvo un patrimonio di storia e di arte gravemente danneggiato. Il ricordo di quei terribili momenti è memoria scritta e indelebile, impressa nell’inchiostro delle pagine de La Nazione, che raccontò prima il dramma di quei giorni, e poi la rinascita e l’orgoglio di Firenze e dei fiorentini. 

 

4 novembre 1921. Il Milite Ignoto e il sangue di un popolo

 

Durante la guerra, i caduti venivano tumulati, quando possibile, in piccoli cimiteri allestiti a ridosso delle trincee, senza che venissero adottate particolari cautele: nella nuda terra, molto spesso in fosse comuni. La sepoltura dei soldati caduti in territorio avversario, era invece affidata al sentimento di pietà, ma anche alle possibilità di occuparsene, da parte dell’esercito nemico. “Tutto sopportò e vinse il Soldato. Perciò al Soldato bisogna conferire il sommo onore, quello cui nessuno dei suoi condottieri può aspirare neppure nei suoi più folli sogni di ambizione. Nel Pantheon deve trovare la sua degna tomba alla stessa altezza dei Re e del Genio”. Quando quest’idea venne proposta, tutti sentirono come dovere morale quello di onorare i sacrifici e gli eroismi di coloro che avevano sacrificato la propria vita per il bene della collettività nazionale, riconoscendolo nella salma di un soldato sconosciuto. Il decreto sulla ‘Sepoltura della salma di un soldato ignoto’ venne approvato dal parlamento del Regno d’Italia il 4 agosto 1921, all’unanimità e senza dibattito. Come luogo della tumulazione venne scelto il Vittoriano. Venne inoltre stabilito che le ricerche dovessero essere condotte nelle zone più avanzate dei principali campi di battaglia, in totale undici siti: San Michele, Gorizia, Monfalcone, Cadore, Alto Isonzo, Asiago, Tonale, Monte Grappa, Montello, Pasubio e Capo Sile. Su ciascuno di essi, alla presenza di tutti i membri di una Commissione appositamente nominata, doveva essere ricercata ed esumata la salma di un caduto non identificabile. Gli undici soldati dovevano essere poi sistemati in altrettante identiche casse di legno, e dopo la benedizione dei feretri, la mamma di un disperso in guerra avrebbe scelto quella che sarebbe stata onorata in eterno.

 

I resti dei caduti vennero portati alla luce scavando sotto croci di legno senza nome. Uno addirittura venne individuato sotto una piramide di pietra mentre un altro, sul Monte Ortigara, era praticamente insepolto ma nascosto, forse dai commilitoni suoi compagni, che non potendo seppellirlo dignitosamente, lo avevano in qualche modo protetto affinché il corpo non fosse straziato dagli animali. Tra questi undici senza nome, doveva esserne scelto uno soltanto, in rappresentanza dei 650mila italiani caduti nella Grande Guerra. A Maria Bergamas, una donna di Gradisca d’Isonzo, che rappresentava idealmente lo strazio di tutte le madri italiane che avevano perso un figlio durante la guerra, venne affidato il triste incarico: il 26 ottobre 1921, si ritrovò davanti le undici, identiche bare che custodivano i poveri resti di soldati anonimi. Maria Maddalena Blasizza Bergamas era la madre del sottotenente Antonio Bergamas, irredentista triestino, mazziniano convinto, fuggito dall’esercito austriaco per arruolarsi nelle truppe italiane: il giovane morì nel 1916 sul Cimone, ma il suo corpo non venne mai identificato. La volontà di rendere onore ai caduti coinvolse in maniera commovente l’intero Paese, attraversato dal convoglio che trasportava la salma dell’ufficiale con 1.500 corone. E non vi fu alcuna retorica quando migliaia e migliaia di cittadini s’affollarono lungo i binari ferroviari da Aquileia a Roma, aspettando il treno che passò per Venezia, Bologna e Firenze, facendo tappa in 120 tra città e paesi. Con le lacrime agli occhi e il cappello tra le mani, di stazione in stazione, giovani e vecchi, donne, bambini e intere famiglie, accorsero per salutare e rendere omaggio al soldato destinato a rappresentare tutti i caduti italiani della Grande Guerra. Che il conflitto aveva privato non solo della vita, ma anche della propria identità: di un nome, di un volto, persino di una tomba su cui piangere.

 

Il 4 novembre 1921 tutte le rappresentanze dei combattenti, delle vedove e delle madri dei caduti, con in testa il Re e le bandiere di tutti i reggimenti, mossero incontro al Milite Ignoto, che da un gruppo di decorati della Medaglia d’Oro venne portato a Santa Maria degli Angeli per poi essere tumulato nel sacello posto sull’Altare della Patria. Le celebrazioni del centenario culmineranno oggi, con l’omaggio al monumento che custodisce le spoglie di un figlio ritrovato, dove una fiamma arde incessantemente, custodita da due guardie d’onore. Prima di chiudere questo racconto però, è bene ricordare due particolari che riguardano Maria Bergamas, che posta di fronte alle undici bare, con in mano un fiore bianco da gettare su una di loro, non resse al dolore, e urlando il nome di suo figlio tra altri figli, si accasciò a terra. Fu il suo scialle nero, che la donna posò su una di quelle, scivolando ai piedi della bara, a indicare quella prescelta: i resti di quel povero corpo sono quelli a cui l’Italia da 100 anni rende omaggio. Maria Bergamas  morirà nel 1952: riposa accanto agli altri dieci militi ignoti, sepolti alle spalle della Basilica di Aquileia. Nel cimitero degli eroi.

Nasce oggi

 

L’Unesco istituito a Parigi il 4 novembre 1946. L’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura è un’agenzia specializzata delle Nazioni Unite, creata allo scopo di promuovere la pace e la comprensione tra le nazioni con l’istruzione, la scienza, la cultura, la comunicazione e l’informazione per promuovere “il rispetto universale per la giustizia, per lo stato di diritto e per i diritti umani e le libertà fondamentali” quali sono definite e affermate dalla Dichiarazione universale dei diritti umani. Fondata durante la Conferenza dei Ministri Alleati dell’Educazione, la sua Costituzione, è stata firmata il 16 novembre 1945 ed è entrata in vigore il 24 novembre 1946, dopo la ratifica da parte di venti Stati. Il preambolo dell’Atto Costitutivo dell’Unesco recita: «Poiché le guerre hanno origine nella mente degli uomini, è nello spirito degli uomini che si debbono innalzare le difese della pace».

 

Maurizio Costanzo