
Il Grande Cretto
Firenze, 14 gennaio 2022 – È stato definito il ‘terremoto insospettabile’ quello che 54 anni fa scosse il Belice. Cronache e documenti storici non avevano infatti mai riportato notizie di terremoti nella Valle. Invece tra il 14 e 15 gennaio 1968 una serie di scosse interessò la zona compresa tra le province di Trapani, Agrigento e Palermo. La più forte, di magnitudo 6,4, arrivò in piena notte.
La prima fu avvertita alle 13 e 28 del 14 gennaio. Poi ne arrivò una seconda e più tardi una terza. Tra spavento e agitazione tanta gente si riversò sulle strade e molti decisero di passare la notte all’aperto o in rifugi di fortuna. Per questa ragione sotto le case abbattute e sbriciolate si contarono ‘solo’ 300 morti quando la terra tornò a tremare, stavolta con una violenza devastante, alle 2:33 e alle 3:01 del 15 gennaio. Le vittime potevano essere di più di fronte alla terrificante ondata di scosse che in pochi attimi cancellò interi paesi della Valle del Belice.
Epicentro del terremoto, l’area tra Gibellina, Poggioreale, Salaparuta e Montevago. Ma le scosse furono avvertite fino a Palermo. La percezione dei danni non fu immediata, le vecchie strade ritardarono gli interventi.Ma il terremoto mise in luce subito le carenze di un Paese che non era preparato a gestire questo tipo di emergenze e la successiva ricostruzione, visto che per 40 anni migliaia di persone sono sopravvissute in baracche di legno o di lamiera. I cronisti e le squadre di intervento riferirono una situazione terrificante: cadaveri estratti dalle macerie e allineati in luoghi improvvisati, feriti che aspettavano i soccorsi, strade piene di detriti, monumenti perduti e opere d’arte irrimediabilmente sfregiate.
Ad aggravare le lacerazioni dei tessuti urbani dei paesi, il fatto che le case del Belice erano di tufo e di impasto con le canne. Per questo si polverizzarono quando le scosse si fecero più forti. Oltre centomila sfollati vagarono tra strutture di accoglienza precarie e molti vennero sopraffatti o da malattie respiratorie, che provocarono altre vittime, o dalla disperazione. Una condizione che li spinse verso l’emigrazione da una terra che aveva già mandato molti giovani all’estero e nelle fabbriche del nord.
La prima risposta dello Stato fu quella di incoraggiare le partenze. Ai terremotati furono offerti biglietti ferroviari gratis e passaporti rilasciati a vista. Chi restava nelle baracche viveva in condizioni degradanti. Leonardo Sciascia, in un reportage per L’Ora, paragonò le baraccopoli ai “più efferati e abietti campi di concentramento”. La protesta esplose subito, ponendo non solo la questione della pronta ricostruzione, che invece imboccò il calvario dei tempi lunghi, ma soprattutto quella della rinascita. Le popolazioni dei 21 paesi colpiti si mobilitarono con manifestazioni e marce di protesta.
Interi paesi come Gibellina, Poggioreale e Salaparuta vennero ricostruiti in altri posti. Antiche culture vennero cancellate, il tessuto sociale fu radicalmente mutato, la vita di migliaia di persone venne sconvolta. Cambiò anche il paesaggio del Belice: da un lato le ‘new town’ con grandi piazze e lunghe strade, dall’altro le tracce di ruderi che restano ancora in piedi negli antichi abitati fantasma. Dopo il terremoto il sindaco Ludovico Corrao si pose il problema di ritrovare l’identità perduta, attraverso i nuovi linguaggi dell’arte. E così, su suo impulso, sulle ceneri della Gibellina Vecchia è stata costruita una sorta di ‘città d’arte’, in cui spicca il Grande Cretto di Alberto Burri, un enorme sudario di calce bianca che ricopre le macerie del vecchio abitato ormai distrutto.
All’appello del sindaco risposero Mario Schifano, Andrea Cascella, Arnaldo Pomodoro, Mimmo Paladino, Franco Angeli, Leonardo Sciascia. La città divenne subito un immenso laboratorio di sperimentazione e pianificazione artistica, in cui artisti e opere di valore rinnovarono lo spazio urbano secondo una prospettiva innovativa. E oggi Gibellina è una sorta di museo a cielo aperto dell’architettura moderna. Esempio ne sono, tra i tanti monumenti e luoghi di interesse, la Chiesa Madre di Ludovico Quaroni, i Giardini Segreti di Francesco Venezia, la Porta del Belice di Pietro Consagra, Piazza XV gennaio 1968 con la Torre Civica-Carrilion di Alessandro Mendini, il Sistema delle piazze (di Laura Thermes e Franco Purini), il Monumento ai Caduti. Tutte creazioni di grande impatto, come la ‘crepa’ di Burri, una tra le opere d’arte contemporanea più estese al mondo. Che vista dall’alto appare come una serie di fratture di cemento sul terreno, il cui valore artistico risiede nel congelamento della memoria storica di un intero paese. Un gigantesco monumento sorto sopra cumuli di detriti appositamente ‘cementificati’, per chi vuole ripercorrere le vie e i vicoli perduti.
Nasce oggi
Giancarlo Fisichella nato il 14 gennaio 1973 a Roma. Pilota automobilistico, tra i grandi protagonisti della Formula 1, ha corso anche nella monoposto della Ferrari.