LISA CIARDI
Cronaca

Alberi, perché i lecci stanno scomparendo: lo studio

Il Cnr e l’Università di Firenze stanno analizzando il fenomeno a partire dal Parco della Maremma. Il punto delle ricercatrici Cecilia Brunetti e Antonella Gori

Foto Andrea Rontini

Foto Andrea Rontini

Firenze, 6 dicembre 2023 - La siccità e i cambiamenti climatici mettono in crisi anche i nostri lecci, con il rischio di compromettere alcuni ambienti e habitat tipici della Toscana. Lo spiega lo studio condotto dai ricercatori dell’Istituto per la Protezione Sostenibile delle Piante (Ipsp) del Cnr e dal Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agrarie, Alimentari, Ambientali e Forestali dell’Università degli Studi Firenze (Dagri).

Le ricercatrici Cecilia Brunetti e Antonella Gori
Le ricercatrici Cecilia Brunetti e Antonella Gori

Il progetto multidisciplinare, intitolato “Impatto dei cambiamenti climatici sulla vegetazione di ecosistemi costieri mediterranei” ha lo scopo di studiare le cause della mortalità del leccio nel Parco della Maremma, affrontandolo su molteplici livelli e valutando anche l’impatto sulla biodiversità.

Da cosa nasce il vostro studio? «L’idea nasce dopo un sopralluogo effettuato dal gruppo di ricerca congiunto dell’Ipsp del Cnr e del Dagri dell’ Università di Firenze nel Parco Regionale della Maremma a seguito di una segnalazione dell’ente parco di un’estesa mortalità di Quercus ilex (leccio) sui Monti dell’Uccellina. Qui, dopo l’estate siccitosa del 2017, si sono perse ampie aree di lecceta che costituiscono parte della Riserva Integrale del Parco. Da allora i ricercatori stanno monitorando lo stato di salute delle piante sia con sopralluoghi e misurazioni nel bosco, sia con l’analisi di immagini satellitari».

Ci potete spiegare in termini divulgativi cosa è emerso? «Le analisi genetiche e dendrocronologiche (studio degli anelli degli alberi) hanno permesso di capire che alcuni gruppi di lecci sono geneticamente predisposti a subire maggiori danni da carenza idrica. Questo, insieme all’aumento di temperatura media degli ultimi decenni per i cambiamenti climatici, ha portato le piante a deperire a causa di emboli che si sviluppano all’interno del fusto. La diffusa mortalità del leccio sta poi a sua volta avendo un impatto sulle piante del sottobosco, e quindi sulla sua biodiversità, con ripercussioni sull’intero ecosistema. Il progetto si sta espandendo in altre leccete del Mediterraneo, grazie alla collaborazione con gruppi di ricercatori in Spagna, Portogallo e Grecia, per affrontare il problema in una scala più ampia».

Quali possono essere le cause del fenomeno? «La mortalità del leccio è un fenomeno complesso dovuto a molteplici fattori: i cambiamenti climatici che causano siccità prolungata e aumenti delle temperature, lo sfruttamento improprio delle falde acquifere e la maggior suscettibilità a stress ambientali di alcuni gruppi di piante su base genetica. Una volta che si è innescato il deperimento, le piante sono più suscettibili ad attacchi di insetti e funghi patogeni, che aggravano la condizione di stress delle piante».

La scomparsa o diminuzione dei lecci quali conseguenze potrebbe avere nell’ecosistema toscano? «Il leccio è la specie dominante nelle foreste costiere mediterranee, quindi la sua diminuzione altera l’habitat idoneo per altre specie vegetali e animali. Per esempio la vita degli uccelli migratori e di alcuni mammiferi che si nutrono delle ghiande, dipende dalla lecceta. Inoltre la copertura del suolo offerta dalle chiome dei lecci permette una protezione dall’erosione nonché una maggiore fertilità. La perdita dei lecci rende anche questi ecosistemi più vulnerabili agli incendi dolosi. Per il loro ruolo ecologico e il valore naturalistico da proteggere le leccete sono state inserite come habitat forestali d’interesse comunitario (siti Natura 2000)».

Cosa si può fare? «Sicuramente un approccio integrato fra competenze scientifiche e gestionali degli ecosistemi è indispensabile per affrontare il problema del deperimento delle leccete, e più in generale delle foreste mediterranee. Per evitare una mortalità diffusa è indispensabile monitorare le aree più a rischio coinvolgendo i parchi, gli enti di ricerca e sensibilizzando l’opinione pubblica e le comunità locali. Il monitoraggio deve comprendere anche un controllo costante del livello delle falde acquifere. Serve una politica di gestione sostenibile della risorsa acqua evitandone un sovrasfruttamento. Queste strategie dovrebbero essere accompagnate dalla conservazione del germaplasma di lecci resistenti alla siccità e da misure di riforestazione».

Ci sono altri fenomeni simili nella nostra regione, relativamente a ulteriori habitat? «In Toscana sono stati osservati altri fenomeni di mortalità riguardanti non solo leccete, ma più in generale foreste di querce sull’Appennino e pinete costiere. Negli ultimi anni fenomeni di degrado forestale e mortalità sono stati segnalati in tutta la penisola italiana, evidenziando una vulnerabilità di questi habitat in risposta a estremi climatici, principalmente ondate di calore durante periodi prolungati di siccità. La perdita di questi habitat ha ripercussioni negative sui servizi ecosistemici come il sequestro di carbonio e la biodiversità».