
Nicolò Carnesi
Firenze, 1 dicembre 2016 _ «Con me, che canto e suono la chitarra, siamo in quattro sul palco. Ci sono i musicisti che hanno suonato nel disco: batteria, basso, tastiere ed elettronica. Faremo dal vivo tutto il nuovo album e il meglio dai due precedenti. E’ un live molto pieno di suoni, di spazi e idee». Torna a Firenze, a due anni dall’ultima esibizione, Nicolò Carnesi, uno dei più ispirati cantaurocker dell’ultima generazione, che stasera (1 dicembre) alle 22 presenta in concerto al Combo Social Club (Via Mannelli 2) il nuovo cd «Bellissima noia», un lavoro che con un suono caldo e avvolgente parla delle solitudini della provincia palermitana, di personaggi e storie che vanno verso un epilogo catartico e liberatorio.
Nicolò, cosa è per lei una Bellissima noia?
«E’ una fase di vita. Per scelta ho lasciato la metropoli per tornare alle origini a Villa Frati, il paese dove sono cresciuto. E, in Sicilia, in un contesto opposto a quello milanese, mi sono tuffato in una di noia, perché in un piccolo paese di 2000 abitanti c’è molto poco da fare».
E lei ha trasformato la noia in una risorsa?
«Decisamente positiva. Mi ha permesso di racimolare le idee, di capire il mio percorso, di leggere, guardare film e lavorare in maniera molto libera. Ho scritto di getto, prigioniero di questa bellissima noia».
Come è maturata la scelta di cambiare passo?
«Mi era stufato dell’atteggiamento metropolitano, della velocità, della mondanità. Avevo bisogno di rilassarmi, di staccare la spina anche dai social network, da internet. E scrivere con il cellulare spento è stata una liberazione». Che continua anche in tour? «No, mi sono ricatapultato nella condizione da cui ero scappato, con consapevolezza e degli anticorpi in più».
Cosa ha letto in questo periodo?
«Molto David Foster Wallace, in particolare «Infinite jest», che ha dato il titolo alla nuova canzone «Gioco infinito». Mi sono appassionato a Michel Houellebecq. La sua astrazione collegata al sistema umano e altre sue tematiche legate all’emancipazione dalle religioni mi hanno ispirato il brano «Mia», che chiude il cd».
Dagli Eroi non escono il sabato a oggi che percorso è?
«Circolare, trovo di aver portato a compimento una trilogia che rappresenta il percorso dalla post adolescenza alla maturità di oggi. Ho cominciato a 20 anni e questi tre album rappresentano un piccolo affresco generazionale».
In questi 10 anni è cambiato il mestiere di cantautore?
«Non credo che sia più la stessa cosa. Non si è cantautori solo se ci si atteggia con la chitarra a tracolla. La musica e la società sono cambiate e ora spesso i concetti vengono sviliti dalla forma. Anche nella deriva in cui mi affaccio noto un abbassamento di livello rispetto ai cantautori degli anni Settanta».
Chi erano i suoi preferiti?
«Lucio Dalla è insuperabile. Poi c’è De André, il Battiato che arriva poco dopo e De Gregori. Io ci provo, come facevano loro, a dire la mia in maniera abbastanza netta, ma è difficile che un network radiofonico suoni canzoni che parlano di disagio generazionale».