MARCO
Cosa Fare

La moglie insolente del miliardario E la servitù veniva presa a schiaffi

Anni Sessanta, il marito era andato a vivere in un’altra città e lei spadroneggiava nella villa di Fiesole

Marco

Vichi

Erano gli anni Sessanta. Una signora che veniva da una famiglia modesta aveva sposato un miliardario che si era fatto da solo, e adesso trattava tutti dall’alto in basso, come succedeva anche troppo spesso. Ma la signora era anche una bambina viziata e egoista al massimo grado, che faceva più caso a una puntura di zanzara sul suo viso che a un proiettile nel petto di un altro. Il marito dopo qualche anno se n’era andato via, viveva in un’altra città, ma quella libertà ritrovata la pagava passando alla moglie un mensile assai alto, capace di sfamare cinque famiglie. Ma la Signora, tra vestiti, scarpe, profumi, mobiletti e grandi ricevimenti nella villa con parco sulle colline di Fiesole, al venti del mese riusciva a finire il denaro, e ne chiedeva altro, che regolarmente le veniva inviato. Oltre a un giardiniere, che curava il giardino e il parco ogni giorno, aveva tre persone fisse a servizio, una cuoca, una cameriera, un cameriere-autista che dormiva nel garage insieme all’automobile. E le capitava anche di schiaffeggiare una cameriera per qualcosa "di male" che aveva fatto. Insomma, la Rivoluzione non era ancora entrata in quella casa. Una sera in cui si dava un grande ricevimento in giardino, l’autista-cameriere ricevette una telefonata di sua moglie: uno dei suoi figli era stato ricoverato in ospedale con quarantadue di febbre. Correndo nell’ingresso vide la Signora a metà della grande scala di marmo che portava ai piani superiori, e mentre si toglieva la livrea bianca con i bottoni dorati disse che doveva andare via immediatamente perché suo figlio stava molto male.

La Signora sgranò gli occhi. "Non puoi andartene proprio stasera! Tra un po’ arrivano gli invitati!" gridò. Il cameriere rimase un attimo interdetto, quasi incapace di concepire quello che aveva sentito. Poi si svegliò, gettò via la livrea e minacciò la signora con il pugno chiuso. "Ringrazi il Cielo che ho fretta, altrimenti le darei uno schiaffo!" disse, e se ne andò a precipizio inseguito dalle urla della Signora, che era rimasta a metà della scala allibita e incredula dalla ribellione di un cameriere… Com’era possibile che un servo potesse permettersi di trattare così una Signora come lei? Dove si era mai vista una cosa del genere? Rivolgersi così a lei, la padrona! Il mondo sottosopra, il mondo a rovescio… come se i sudditi uccidessero il loro re (era successo, ma lei non lo sapeva). La Signora si attaccò al telefono a si sfogò con sua figlia… "Ma ti rendi conto? Quel pezzente! Come si permette! Che tempi! Che tempi!" continuava a dire.

La figlia era il contrario di sua madre… gentile, educata, generosa, altruista, e ascoltava senza commentare, conoscendo il carattere e la visione del mondo di sua madre. La Signora riattaccò, doveva pensare al ricevimento, ma era talmente scossa che quella sera non schiaffeggiò la cameriera, colpevole di aver disposto le tartine sul vassoio in modo non elegante.

Sua figlia raccontò la faccenda a suo marito, e lui il giorno dopo convocò l’autista-cameriere nel suo ufficio, per un colloquio privato. L’uomo arrivò con una certa titubanza, preoccupato. Per prima cosa il genero della Signora gli chiese come stava suo figlio. "Grazie a Dio adesso sta bene, non era nulla, ma abbiamo passato metà della notte in ospedale" "Sono contento che sia andato tutto bene… Adesso la prego, mi racconti cos’è successo." "Erano le sette di pomeriggio, quando ho ricevuto la telefonata di mia moglie…" L’uomo raccontò per filo e per segno quello che era accaduto, senza omettere nulla, nemmeno il pugno chiuso e la minaccia dello schiaffo. Si rendeva conto di avere esagerato, ma di fronte a quella insensibilità…Il genero della Signora non gli fece finire la frase, si alzò in piedi e gli tese la mano. "Bravo, ha fatto bene… Se lei è d’accordo la vorrei a lavorare con me." E così fu.