I dimenticati di Nassiriya: "Mio maritò morì là. Sono passati vent’anni e lo Stato non ricorda"

I dimenticati di Nassiriya: "Mio maritò morì là. Sono passati vent’anni e lo Stato non ricorda"

I dimenticati di Nassiriya: "Mio maritò morì là. Sono passati vent’anni e lo Stato non ricorda"

di Gabriele Masiero

LIVORNO

"Livorno non ha mai dimenticato il mio Enzo e quella tragedia a Nassiriya, lo Stato invece a volte sì. Non solo ha dimenticato mio marito, ma anche gli altri suoi colleghi uccisi in quel terribile attentato". A dieci giorni dal ventennale della strage di Nassiriya, Paola Coen Gialli, vedova di Enzo Fregosi, il luogotenente del Nas livornese caduto in un agguato islamista il 12 novembre 2003, sfoga la sua delusione. Il marito fu ucciso durante la sua partecipazione ad ’Antica Babilonia’, la missione italiana di peacekeeping che iniziò il 15 luglio di quell’anno con l’obiettivo di ricostruire il ’comparto sicurezza’ iracheno attraverso l’assistenza per l’addestramento e l’equipaggiamento delle forze, a livello centrale e locale, creare e mantenere una cornice di sicurezza, ripristinare le infrastrutture pubbliche e riattivare i servizi essenziali dopo la conclusione della seconda guerra nel Golfo e altri compiti a servizio della popolazione civile e delle forze di polizia locali.

Fregosi, tra i fondatori del Gis, era appassionato di arte e di storia, con la stella polare del bene pubblico, e anche per quello decise di aderire alla missione partendo con Il reggimento Msu dei carabinieri.

"E’ sempre stato un militare operativo - ricorda la signora Paola - che amava operare sul campo. Quella, poi, era una missione di pace, al fianco dei civili di una regione martoriata dell’Iraq. La passione per la cultura, l’arte e l’archeologia lo convinsero definitivamente a partecipare. Grazie al suo lavoro e quello dei suoi colleghi in Iraq oggi è stato realizzato un museo con i reperti ritrovati in quelle regioni stravolte dalla guerra".

Eppure oggi quell’attentato sembra solo un ricordo polveroso.

"Certamente non a Livorno dove in tanti ancora oggi ricordano Enzo. La mia città è stata sempre vicina alla nostra famiglia. Non posso dire altrettanto per lo Stato".

Perché?

"Speravamo che, almeno in occasione del ventennale, ci fosse stata maggiore attenzione e il riconoscimento della medaglia d’oro al valor militare. E invece non è stato così. Lo chiediamo invano da molti anni insieme alle famiglie delle altre vittime e quel mancato riconoscimento è ancora oggi per tutti noi un enorme dolore. E non è stata l’unica dimenticanza dei quartieri alti".

Quali sono le altre?

"La brigata mobile dei carabinieri, che ha sede a Livorno, e il comando provinciale sono sempre stati vicinissimi a me e ai miei figli. meno attento è stato il comando generale dell’Arma. Il calendario storico del 2023 ha completamente dimenticato il ventennale della strage, forse quella con il più alto numero di vittime italiane. E anche questo ci addolora molto".

A rendere questo anniversario ancora più amaro, ci sono anche le tensioni internazionali. Il Medio Oriente è di nuovo una polveriera. Le missioni di pace sono servite?

"Credo che quelle missioni avessero obiettivi precisi e nobili. Sia per i militari che le hanno fatte, sia per coloro che, a livello politico, le hanno decise. Quelle missioni servivano ai civili, soprattutto alle donne e ai bambini a uscire dall’inferno della guerra. Ad aiutare popolazioni rimaste senza più niente a ricominciare a vivere. Ma anche ad addestrare le forze di polizia per garantire una sicurezza adeguata. Quanto avvenuto in Israele colpisce la mia famiglia molto da vicino, essendo io di religione ebraica. Riapre ferite mai rimarginate: la storia deve insegnarci a tutti che la pace è un bene primario, prezioso. Enzo è morto in Iraq per quello. E’ morto mentre svolgeva il suo servizio a favore degli altri. Non era una truppa d’occupazione, come talvolta qualcuno, purtroppo anche in Italia, ha cercato di raccontare. Essersi dimenticati della strage di Nassiriya fa male soprattutto per questo".