Vichi
oran, figlio mio..." "Ora non posso, mamma." Il giorno dopo tornò al negozio di vestiti e si piazzò davanti alla vetrina. Aveva passato un’altra notte sveglio, sul pavimento del vecchio mercato. La sua pelle puzzava di disgrazia e abbandono. Lei era ancora più bella, si era legata i capelli in una coda che le scivolava di lato, sfiorando la spalla e ricadendo sopra il seno. Goran sapeva che avrebbe dovuto andare in giro a cercarsi un lavoro, uno qualsiasi, giusto per mangiare. Invece restava davanti alla vetrina a guardare un angelo. "Tu sei mia" mormorò, muovendo appena le labbra. Si sarebbero sposati, avrebbero avuto dei figli. La sera lei avrebbe cucinato cose buonissime, anche dei dolci, e lui avrebbe divorato tutto mugolando di piacere e bevendo vino. Avrebbero fatto l’amore ogni notte, stringendosi fino a diventare una cosa sola, come un miracolo. A un certo punto l’angelo uscì sulla soglia, bella come il cielo di notte. Goran avrebbe voluto scappare, ma era successo così all’improvviso che non riuscì a muoversi. Lei gli lanciò appena un’occhiata, senza curiosità. Goran non respirava. Nella sua testa passavano velocissime le immagini dei suoi morti, della sua città distrutta. L’angelo era lì, accanto a lui, a due metri dalle sue mani, dal suo fiato di profugo. C’era qualcosa che non capiva in tutto questo, qualcosa che aveva a che fare con il destino. Lei scese dal marciapiede, si fermò in mezzo alla strada e guardò il cielo. "Che cazzo di tempo" disse tra i denti. La gonna corta lasciava vedere due gambe lisce e perfette. Dal negozio arrivò il suono del telefono, un paio di squilli, poi una voce che chiamava. "Patrizia! Ti vogliono al telefono!" "Palle..." disse lei.
Rientrò nel negozio lasciando nel l’aria un profumo di campi al sole. Patrizia. Un nome così bello. Perfetto per lei. Goran sentiva la voce di sua madre che piagnucolava e pregava per lui. Si passò le mani fra i capelli, sulla faccia. Fece un bel respiro ed entrò nel negozio. Patrizia era al telefono, masticava un chewing-gum e sospirava di noia. Goran avanzò verso di lei, ma due commesse gli si pararono davanti fermandolo al centro del negozio. Patrizia era lontana, laggiù, incatenata al telefono. "Desidera qualcosa?" disse una delle commesse. Non sorrideva. "Io aspetto Patrizia" disse Goran, asciugandosi il sudore che gli colava sulle tempie. "È un amico?" disse l’altra.
"Devo parlare con Patrizia" disse lui. Le due commesse si scambiavano occhiate preoccupate. Ne arrivò anche una terza. "Problemi?" chiese. "Questo signore..." disse una, ma non riuscì a finire la frase perché non sapeva cosa dire. "La pregherei di uscire" disse l’ultima arrivata, con una ruga sulla fronte. "Non c’è nessun pericolo, voglio solo parlare con Patrizia" disse lui, calmo. Una delle commesse decise di dargli un po’ di soddisfazione. "Patrizia... c’è un signore che ti vuole" gridò. Patrizia alzò la testa, dette un’occhiata a Goran senza vederlo, pensando ad altro, e continuò a sospirare nel telefono ondeggiando sulle gambe.
Goran cercò di sorridere. Le commesse si tenevano a distanza, con lo sguardo preoccupato. Nessuno parlava. Si sentivano solo i borbottii annoiati di Patrizia. Entrò una cliente, una signora dall’aria insoddisfatta, e una commessa si staccò dal gruppo per andarle incontro. "Buongiorno, posso aiutarla?" Goran alzò una mano per grattarsi una guancia, e le due commesse rimaste sussultarono. "Non faccio male a nessuno" disse Goran. "Certo" disse una delle due. "Perché non andiamo fuori a parlare?" propose l’altra. La cliente sbirciava Goran con aria leggermente schifata. "Niente paura" disse lui alle commesse. "Va bene... Ma venga un attimo fuori per favore" insisté la ragazza. Goran scosse la testa. Non voleva fare del male a nessuno, voleva solo parlare con Patrizia.
Finalmente la telefonata finì, e Patrizia si sciolse i capelli. "Cos’è che dicevi?" disse, avvicinandosi alle ragazze. "Questo signore... chiede di te." Patrizia si accigliò. "Che c’è?" disse, fissando Goran. "Vorrei parlarti da sola" disse lui. "Siamo parenti? Perché mi dai del tu?" "Vorrei parlarti da sola" ripetè lui, gentile. Patrizia alzò le sopracciglia, poi fece un cenno alle ragazze e loro si allontanarono. "Dimmi" disse, e incrociò le braccia sul seno. Era bellissima. "Sei bellissima" disse Goran. Lei alzò appena il mento. "Tutto qui quello che volevi dirmi?" "No." "E allora?" "Vieni via con me." "Cosa?" Le sue labbra sorridevano, ma i suoi occhi no. "Molla tutto e sposami" sussurrò Goran. Le commesse si erano fermate e fissavano la scena da lontano.
3-continua