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Veronica Raimo ha vinto la nona edizione del premio "Strega giovani"

Veronica Raimo ha vinto la nona edizione del premio "Strega giovani"

Firenze, 12 giugno 2022 - Erano anni che non ridevo così tanto - non solo nella mia testa ma con la voce, a voce alta, roba da far svegliare tutto il palazzo - a leggere un romanzo. L’ultima volta mi era capitato con “La versione di Barney” di Mordecai Richler, oggi mi è successo con l’ultima opera di Veronica Raimo, che trovo esilarante e feroce allo stesso modo. E forse è esilarante proprio perché feroce. Il riferimento a Barney non è casuale. Anche “Niente di vero”, che ha appena vinto il premio Strega Giovani ed è finalista allo Strega, conserva lo stesso tono divertito, struggente e sarcastico del libro di Richler, capolavoro della letteratura contemporanea.

La protagonista del libro si chiama Veronica Raimo e ha un fratello che si chiama Christian ed effettivamente l’autrice Veronica Raimo ha un fratello che si chiama Christian Raimo, che fa l’assessore municipale a Roma. Come nel caso di Teresa Ciabatti, autrice di “Sembrava bellezza” e “La più amata”, non è importante se quello che Raimo racconta sia vero o falso. Che effettivamente stia parlando della sua famiglia, del fratello genio, della mamma ansiosa, del babbo fissato con la sanificazione a colpi, anzi, a litrate di alcol. E qui forse sta il punto del libro dal punto di vista narratologico: il rapporto con i ricordi, con il proprio passato.

Ricordi che si trasfigurano o vengono trasfigurati, meglio, nella memoria di chi lo conserva. Quasi che l’unico passato disponibile possa essere quello manipolabile, volontariamente o no. “Credo che essere immersi nella scrittura a più livelli, imparare linguaggi diversi, continuare a studiare, dia qualcosa di vitale anche alla propria scrittura narrativa. Penso sia abbastanza fondamentale avere questo rapporto aperto e dialettico con la scrittura, il che significa anche con la scrittura degli altri”, ha detto Raimo spiegando anche come sia passata dal racconto distopico di Miden a quello dell’autofiction di “Niente di vero”, un romanzo di de-formazione più che di formazione, che ha per protagonista, tra gli altri temi, la noia.

La noia da ragazzini, la noia dell’essere ragazzini. “Non è un romanzo di formazione, e neanche di de-formazione, ma proprio è un romanzo che mette in crisi l’idea che ci debba essere una formazione, che ci sia un percorso lineare nella vita, che ci siano obiettivi chiari da raggiungere o, addirittura, dei sogni da perseguire”, mi ha detto Veronica Raimo a “Castello d’autore”: “L’ho sempre sentita come una morale molto americana: devi inseguire il tuo sogno e poi ce la farai. E quelli che non ce la fanno, allora? In più, non è sempre chiaro quali sono i nostri desideri e quali sono i nostri sogni. Magari fosse tanto lampante. Ci sono talmente tante variabili e nozioni ideologiche dietro l’idea di formarsi, di capire che cosa si vuole, di capire la nostra identità che a me sembra più interessante provare a scandagliare gli inciampi, gli ostacoli, i cambiamenti di idea, i pentimenti. È tutto tranne un romanzo di formazione perché in ‘Niente di vero’ non si arriva da nessuna parte, e io non volevo arrivare da nessuna par te”.

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