La corruzione europea e gli imbarazzi dem

Perché non ci si occupa con decisione del Qatargate più che del congresso?

Pecore elettriche

Pecore elettriche

Firenze, 18 dicembre 2022 - Il Qatargate solleva almeno un paio di antichi riflessi pavloviani. Il primo è quello di saltare al collo di chiunque conoscesse o frequentasse i presunti corrotti, tra cui quell’Antonio Panzeri già sindacalista e già europarlamentare di Pd e Articolo1. Il secondo è quello, al contrario, di minimizzare. Brando Benifei, capo delegazione del Pd al Parlamento europeo, ha cercato di scaricare sul Ppe una parte della responsabilità del Qatargate: “Ci sono rumors abbastanza convincenti che lei stesse passando al centrodestra”, ha detto Benifei durante la trasmissione “Omnibus”, su La7, riferendosi a Eva Kaili, vicepresidente del Parlamento europeo, coinvolta nel presunto caso di corruzione insieme, fra gli altri, al suo compagno, Francesco Giorgi.

L’idea che ci sia anche un po’ di centrodestra nel caso di corruzione che sta scuotendo l’Europa viene sparsa da socialisti e democratici, che sperano così di spostare l’attenzione altrove. Lo stesso Pd, che ha sospeso in via cautelativa l’europarlamentare Andrea Cozzolino, per ora sta fischiettando abbastanza. D’altronde c’è il congresso di cui occuparsi. Ma come, non è materia da congresso questa? Non se ne dovrebbe parlare, anziché blaterare per giorni di correnti e dividersi sul renzismo e l’antirenzismo? Non è più urgente e attuale? Non è più importante ragionare, per esempio, attorno alla necessità di leggi che regolamentino le lobby, attività che non va demonizzata ma semmai istituzionalizzata. Come negli Stati Uniti, dove esistono norme precise.

Nel 1946 il Congresso approvò il Federal Regulation of Lobbying Act, secondo cui “chiunque individualmente, o attraverso un agente o impiegato o altre persone di qualunque tipo, direttamente o indirettamente sollecita, raccoglie o riceve denaro o altre cose di valore da usare principalmente per aiutare l’approvazione o la bocciatura di qualsiasi legge da parte del Congresso” sarebbe dovuto entrare in uno specifico registro. La norma è poi stata sostituita dal Lobbying Disclosure Act nel 1995, poi modificata nel 2007, che ha stabilito chi potesse fare il lobbista, sempre registrandosi in un apposito albo (pena sanzione di 50 mila dollari) e con precise regole da non violare. Il ministro Carlo Nordio ha detto che serve una legge anche in Italia e ha ragione.

Il perché non sia stato fatto lo segnala Claudio Velardi in un’intervista a Formiche: “Segnalo che nell’ambito delle cose da decidere c’è la famosa storia delle revolving doors. Molti Stati prevedono che dopo tre anni un parlamentare sia libero di occuparsi di altro e allora però bisogna capire se Panzeri l’abbia fatto o meno, visto che dal 2019 non è più parlamentare”. Ciò detto, osserva Velardi, “è questo uno dei grandi motivi per cui non si è mai fatta la legge sulla regolamentazione del lobbying in Italia. In particolare nell’ultima legislatura, quando stavamo per arrivare all’obiettivo, c’erano frotte di parlamentari che sapevano perfettamente che non sarebbero stati rieletti e che dal giorno dopo le elezioni, se ci fosse stata una regolamentazione seria, non avrebbero potu to fare più nulla”. La legge serve, ma serve anche qualcuno che abbia voglia di approvarla.

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