Il ministro: perchè il procuratore Rossi non va confermato. Ma Bonafede sbaglia sui tempi

Il capo dei Pm aretini cessa dall'incarico a Palazzo Chigi mesi prima che che si apra la bancarotta Etruria. E subito si fa affiancare da un pool di colleghi

Roberto Rossi

Roberto Rossi

Arezzo, 10 agosto 2019 - TORNA alla ribalta il caso Roberto Rossi dopo il no alla conferma a capo della procura da parte della commissione incarichi direttivi del Csm, dietro parere negativo del guardasigilli Alfonso Bonafede. Detto che Bonafede sarà probabilmente ministro per poco, data la crisi di governo, sono comunque da lui arrivate le motivazioni che sottostanno al parere negativo, pubblicate ieri dal Fatto Quotidiano.

«Rilevo l’esistenza - scrive Bonafede - di molteplici criticità alla proposta di conferma nelle funzioni direttive di Rossi». Il nodo riguarda in particolare le «modalità di ottenimento dell’autorizzazione e alla prosecuzione dello svolgimento dell’incarico presso il dipartimento affari giuridici della presidenza del consiglio, all’adozione dei provvedimenti di assegnazioni delle indagini penali correlate a Etruria e ad alcuni profili in ordine alla gestione di tale ultima attività investigativa».

SCRIVE Bonafede che nel provvedimento di archiviazione di Rossi in sede disciplinare, «si fanno notare l’inopportunità e l’avventatezza delle condotte del magistrato». E per quanto riguarda il Dagl, rileva che la consulenza esterna del procuratore al dipartimento fino a tutto il 2015 è stata svolta con lui «unico titolare di un’indagine che potenzialmente avrebbe potuto coinvolgere un familiare di un importante esponente del governo». Il riferimento è a Pieluigi Boschi, padre dell’allora ministro Maria Elena. Ciò porta Bonafede alla valutazione non positiva sul magitsrato «nel primo quadriennio del suo incarico, soprattutto con riguardo alla credibilità, autorevolezza e indipendenza del suo profilo professionale e dirigenziale».

NON REPLICA nel merito Roberto Rossi: «Avevo chiesto al ministro le motivazioni del suo parere negatvio, vedo che mi sono state notificate mezzo stampa». Aggiunge che «per legge il parere del ministro deve riguardare i profili organizzativi dell’ufficio, mentre lui entra clamorosamente nel merito». In ognia caso emergono alcune palesi incongruenze nella ricostruzione del guardasigilli. Intanto la frase relative all’inopportunità delle condotte riguardano solo il parere della prima commissione, poi cassato nel procedimento del plenum che portò all’archiviazione, atto confermato dal procuratore generale presso la Corte di Cassazione.

Quanto all’incarico nel dipartimento affari giuridici, esso si esaurì appunto a fine 2015, quando ancora non c’era alcuna indagine per bancarotta: l’inchiesta iniziò l’11 febbraio 2016. Ed è anche inesatto dire che Rossi avocò a sé tutte le deleghe perché già prima del fallimento (febbraio 2016) fu costituito il pool di Pm che infatti, collegialmente, firmò le prime iscrizioni nel registro degli indagati, tra cui anche quella di Boschi insieme a Bronchi, Fornasari e agli altri. La parola adesso passa al plenum del Csm, organo chiamato a decidere sull’annosa questione. In commissione a favore di Rossi si è espresso il presidente Marco Mancinetti di Unicost. Contro i due consiglieri di Davigo, quello di Area e il laico dei 5 stelle.