Epidemia, sale l'allarme dai locali cinesi: "Affari crollati del 50%"

Così all’Oriente di Pescaiola. Ma al Sushi Bar: «Solo un calo, aspettiamo». C'è chi ipotizza licenziamenti e chi racconta disdette record. Tutti: da noi prodotti italiani

Un ristorante cinese  (foto Attalmi)

Un ristorante cinese (foto Attalmi)

Arezzo, 30 gennaio 2020 - Il coronavirus spaventa il mondo, ma quanta preoccupazione c’è ad Arezzo? Abbiamo provato a capirlo chiedendo ad alcuni dei ristoranti cinesi e giapponesi in città se c’è stato un calo di clienti. Uno dei contributi più significativi è quello del Sushi Bar Number One. La titolare, Qi Xinxin, per tutti Giulia, espone la situazione: «In questi giorni un piccolo calo c’è stato ma non so se dipenda dal virus o da altro.

Bisognerà vedere i dati del prossimo weekend per avere idee più chiare». Insieme al suo chef, Giulia rassicura gli aretini: «I clienti possono stare tranquilli i nostri fornitori sono perlopiù italiani e i controlli di qualità e salubrità sono all’ordine del giorno. Abbiamo una clientela fissa che sa da dove prendiamo carne o pesce, il prodotto che di solito desta più timore perché lo serviamo anche crudo come da tradizione giapponese».

«Vedo che i più giovani - prosegue - continuano a venire numerosi, forse perché con internet e i social riescono a trovare più notizie e a confrontarle, senza farsi prendere da allarmismo. Per quanto ci riguarda, noi siamo in Italia da una vita e non torniamo in Cina da anni, per cui non c’è motivo di allarmarsi».

Accusa il colpo, invece, il Ristorante Oriente in via Calamandrei, gestito da Massimo Zheng: «Siamo un ristorante cinese storico, in attività da più di vent’anni, infatti abbiamo vissuto anche l’epoca della Sars. Purtroppo, stiamo notando analogie con quel periodo e il calo di clienti nelle ultime settimane è drastico, addirittura più del 50%. A pranzo di solito serviamo almeno una dozzina di tavoli, ora siamo praticamente vuoti e anche l’asporto, una bella fetta di mercato, perde colpi. Siamo preoccupati, perché ho sette dipendenti ma se non cambiano le cose dovrò fare tagli per andare avanti».

Massimo certifica così il momentaccio che stanno attraversando: «Domenica scorsa abbiamo organizzato un evento e avevamo 80 prenotazioni, ma all’ultimo quasi 20 hanno disdetto; un’altra volta, una coppia con una scusa se n’è andata pochi minuti dopo essersi messa a tavola; abbiamo amici di Milano che stanno valutando di chiudere il ristorante. Siamo certi che la causa è questa notizia e siamo dispiaciuti di vedere tanto allarmismo, incomprensibile perché i prodotti provengono solo da fornitori italiani. Speriamo che le persone si informino meglio e non si facciano prendere da paure immotivate».

Non ha subito ripercussioni il titolare di un ristorante in zona Saione che preferisce restare anonimo. Anche una dipendente del ristorante Bacchette d’Oro non ha riscontrato cali: «L’afflusso è nella norma e i clienti non ci sembrano preoccupati».

Diverso il caso del ristorante Yamatoji in via Vittorio Veneto: «Stiamo avendo meno clienti - , dice la titolare Yang Xuxu - ma il virus non ha nulla a che vedere con noi che abbiamo solo fornitori italiani e che non torniamo in Cina da anni. Dispiace anche vedere nella gente una certa riluttanza nei confronti di noi cinesi che viviamo qua: si crea anche un problema culturale»