Quando la città fece muro contro Vicenza: la cornice dell'incontro Boschi-Vegas

Dal consiglio comunale aperto con politici, imprenditori e associazioni tutti per il no al fronte compatto delle categorie per l’autonomia di Bpel

Smontate le insegne Etruria

Smontate le insegne Etruria

Arezzo, 15 dicembre 2017 - Parte da qui lo sconquasso che ieri ha di nuovo sconvolto la politica nazionale. Parte dal crac di Etruria e da quei mesi bollenti di primavera 2014, gli stessi nei quali il ministro di Laterina Maria Elena Boschi ebbe il colloquio che il presidente Consob Giuseppe Vegas ha riferito ieri davanti alla commissione parlamentare d’inchiesta sulle banche. Un colloquio che va contestualizzato al periodo storico.

Siamo ad aprile, il mese nel quale in data room di Bpel ci sono ancora due istituti, Bper e la Popolare di Vicenza. E’ quest’ultima che già solletica gli umori della città: Vicenza è distretto dell’oro, è la principale ri vale di Arezzo che detiene il primato nazionale, il timore è di essere fagocitati proprio nel core business dell’economia locale. Ed è appunto in aprile che Boschi parla a Vegas delle preoccupazioni aretine. Preoccupazioni che non sono inventate, basterà andare un po’ avanti nel calendario perché esplodano con fragore.

Il passo avanti ci porta a maggio. Il 6 di quel mese Bper si ritira dall’affare, esce di scena ed Etruria lo comunica a Bankitalia. Resta in ballo soltanto Vicenza, mentre i malumori rumoreggiano nella pancia della città. Ma si aspetta ancora, si aspetta che la Popolare veneta percorra l’ultimo miglio e lanci l’offerta. E l’offerta arriva, il 28 maggio, sotto forma di Opa totalitaria al 90%, un euro per ognuna delle 212 mila azioni di Banca Etruria, delisting da piazza Affari per l’istituto di via Calamandrei.

Arezzo è tramortita, o meglio lo è quella parte che vive di economia e di politica. La città è compatta e fa fronte contro la Popolare di Gianni Zonin. Rivendica l’autonomia e sono in particolare le categorie e la Camera di Commercio ad alzare le insegne, a chiedere a Bankitalia che sia dato tempo a Etruria di trovare un altro partner, consentendole di respingere una proposta di acquisto considerata invasiva e tale da mettere a repentaglio il settore orafo, all’epoca già in difficoltà per conto suo sotto i colpi di maglio della crisi che ne aveva ridotto aziende e occupati.

Anche il Comune si fa parte attiva della «resistenza». Il sindaco Giuseppe Fanfani convoca per il 4 giugno una sorta di consiglio comunale aperto che si trasforma in una specie di stati generali dell’economia. Accorrono tutti: rappresentanti delle istituzioni, politici, imprenditori, leader delle associazioni. Il senso che ne esce fuori è il seguente: non può Bankitalia imporre la cessione a Vicenza anche perché Banca Etruria è dei soci e dovranno comunque essere loro, nell’assemblea sovrana, a decidere della sorte di un istituto che è stato, ed era ancora all’epoca, parte importante del sistema provinciale.

Il resto è storia nota e coincide con il disastro. Il cda di Etruria andrà a chiedere condizioni diverse in vista di un’integrazione comunque considerata possibile, prpone un piano alternativo che sfoci infine in un’assemblea da convocare entro novembre. Ma Vicenza non ci sta, Zonin dice di puntare solo sull’Opa totalitaria, «è lui ad aver abbandonato la partita», sosterranno da quel giorno in poi i vertici dell’ultimo consiglio di amministrazione. E’ giugno 2014, venti mesi dopo Banca Etruria non esisterà più. (Nelle foto a destra Maria Elena Boschi e Giuseppe Vegas)