Salvatore
Mannino
Scusate l’avvertenza, ma non è come nei film. Tutto quanto segue, per quanto possa sembrare frutto di fantasia romanzesca, è rigorosamente vero. Ogni riferimento a personaggi e fatti realmente esistiti o realmente avvenuti è inevitabillmente voluto. Il tema è quello dei rapporti fra il defunto Licio Gelli (nella tomba ormai dal 2015) e il mondo dell’eversione nera degli Anni di Piombo, tornato alla ribalta proprio pochi giorni fa, in occasione della condanna all’ergastolo dell’estremista di destra Paolo Bellini per la Strage di Bologna del 2 agosto 1980. Della sentenza, ormai fuori tempo massimo almeno per i presunti mandanti, si conosce solo il dispositivo, non le motivazioni. Ma se queste dovessero anch’esse confermare l’ipotesi d’accusa, l’ex capo della P2 ne emergerebbe come il finanziatore degli esecutori materiali del massacro, per tramite del denaro distratto dal crac del Banco Ambrosiano. Il tutto sarebbe provato dall’appunto "Bologna", ritrovato nelle tasche del Venerabile al momento del suo primo arresto in Svizzera, nell’ormai remoto 1982.
Bene, se così fosse (e sarà bene ricordare che siamo di fronte solo a un verdetto di primo grado che nulla può comunque nei confronti di chi non c’è più), non sarebbe la prima volta che su Gelli cala l’ombra di aver sovvenzionato il terrorismo di destra. Già era accaduto, infatti, e proprioa Villa Wanda, quando l’allora segretario organizzativo della Loggia P2 aveva staccato un assegno da 18 milioni destinato alle attività della Cellula Nera aretina, responsabile degli attentati ai treni succedutisi fra il 31 dicembre 1974 e il 6 gennaio 1975, e di quello mancato alla Camera di Commercio di via Giotto del 22 gennaio 1975, nonchè sospettata della Strage dell’Italicus del 4 agosto 1984, 12 morti e 43 feriti a San Benedetto Val di Sambro, fra Firenze e Bologna. Il tutto nella spaventosa eco di un altro massacro, l’eccidio di Empoli in cui uno dei capi dell’eversione nera, Mario Tuti, uccise a colpi di mitra due dei tre poliziotti piombatigli in casa per arrestarlo.
Ma conviene, come sempre, ripartire dalla cronaca, più dura di ogni romanzo. Il 31 dicembre 1974 ignoti fanno saltare un pezzo di binario al passaggio a livello di via Trasimeno. Attentato che si ripete per la Befanaa Policiano. Ancor più grave quello che succede la stessa notte: 85 centimetri di binario divelti a Terontola. Un macchinista se ne accorge e frena appena in tempo ma poteva essere un’altra strage. E un massacro poteva essere, come dichiarerà l’allora capo dell’antiterrorismo Emilio Santillo, il botto già programmato alla Camera di Commercio.
La polizia riesce a sventarlo grazie alle confidenze di uno dei neri, Maurizio Del Dottore. Gli agenti si appostano nella chiesa abbandonata di Castiglion Fiorentino in cui è stipato l’esplosivo e arresta i due estremisti passati a ritirarlo su una Fiat 1100, Luciano Franci, carrellista delle poste a S. Maria Novella, e Piero Malentacchi,entra estremi del Msi aretino. In tasca a Franci viene ritrovato anche una rivendicazione del programmato botto di via Giotto, con firma Fronte Nazionale Rivoluzionario, emanazione locale di Ordine Nero, nato dal disciolto Ordine Nuovo e da Avanguardia Nazionale di Stefano Delle Chiaie, detto "Er Caccola“, sospettato di quasi tutti gli attentati neri di quegli anni drammatici.
In poche ore finiscono in manette anche Margherita Luddi, legata a Franci, Giovanni Gallastroni, già responsabile cultura del Msi di Montevarchi, e Marino Morelli,difesi in gran parte dall’avvocato Oreste Ghinelli, segretario federale del Msi e padre dell’attuale sindaco. Da un’intercettazione alla Luddi si risale a Tuti, che però il 24 gennaio spara sui poliziotti e si dà alla fuga. Protagonista delle indagini è un giovane Pm, Mario Marsili, che i giornali dell’epoca presentano come un coraggioso magistrato sulle tracce dei neofascisti. In pochi sanno che è il genero di Gelli, peraltro ancora sconosciuto ai più, e che risulterà iscritto alla P2. Lui, nel 1981, alla scoperta delle liste a Castiglion Fibocchi, protesterà di essere stato inserito suo malgrado dal suocero col quale dichiara pessimi rapporti (Il Csm lo assolverà per questo), ma i dubbi negli anni seguenti si affolleranno: chi è che ha avvertito Tuti dell’imminente ordine di cattura? E chi è che ha messo in allarme Augusto Cauchi, cortonese, fra gli aretini il personaggio di maggior spessore, che riesce a eclissarsi, inizio di una latitanza che durerà tutta la vita e che lo porterà nella Spagna di Franco, nel Cile di Pinochet e nell’Argentina dei generali? E’ in casa sua, a Verniana di Monte San Savino, che il 12 aprile 1974 si svolge la cena in cui sarebbero stati pianificati i primi attentati. La sera stessa salta la Casa del Popolo di Moiano, a Città della Pieve, il 21 aprile un altro botto sui binari a Vaiano, vicino a Prato.
Mentre le indagini sulla cellula nera vanno avanti, un altro episodio romanzesco. Dal carcere di San Benedetto evadono (15 dicembre 1975) Franci, Felice D’Alessandro, che ha ucciso per gelosia a Camucia il militante di estrema sinistra Donello Gorgai, e Aurelio Fianchini. Il primo si rifugia al convento dei Cappuccini e poi si costituisce, gli altri due raggiungono la redazione di Epoca dove denunciano: Franci ci ha detto di aver fatto da palo a Santa Maria Novella, mentre Malentacchi sistemava la bomba dell’Italicus. Ne nasce il primo processo a Bologna: tutti assolti, ma condanne in appello poi annullate in cassazione.
Va meglio al processo di Arezzo contro la cellula nera, che si svolge nell’aprile 1976: vent’anni a Tuti per le mancata strage sui binari e in via Giotto, 17 a Franci, pene minori agli altri. Solo dopo la strage di Bologna Gallastroni e Andrea Brogi racconteranno del doppio incontro di Gelli con Cauchi (primavera 1974, prima e dopo il referendum sul divorzio del 13 maggio), nel quale sarebbe stato staccato l’assegno da 18 milioni, ma senza che il Venerabile sapesse che servivano a comprare armi ed esplosivo. Infatti, dopo una prima condanna a 8 anni, l’ex capo della P2 sarà assolto nel 1990 per aver sovvenzionato non una banda armata ma un’associazione sovversiva, che non è reato. Ma la sua ombra continuerà a gravare sugli Anni di Piombo. Fino all’ultima sentenza di Bologna.