Ex Bpel, "Vi racconto chi ha distrutto la banca": j'accuse di Santoni, crac da 300 milioni

Durissima testimonianza del liquidatore: "Era diventata il bancomat dei vertici dell'istituto. Ben 198 posizioni di fido per un totale di 180 milioni deliberati di cui 80 in fumo"

Il liquidatore Santoni

Il liquidatore Santoni

Arezzo, 21 settembre 2019 - La domanda gliela fa il suo avvocato, ossia l’avvocato dell’avvocato, professore di diritto bancario, Giuseppe Santoni, liquidatore della vecchia Banca Etruria. A quanto ammonta - chiede Giacomo Satta- il deficit della società in liquidazione? La risposta del protagonista, che ha retto la scena del maxi-processo per bancarotta un’intera mattina, dalle nove e mezzo fin quasi all’ora di pranzo, è secca: «Circa 300 milioni».

Che forse fa più impressione tradotto in vecchie lire: 600 miliardi, quanto basta a dire le dimensioni di un crac epocale per quella che fu la banca degli aretini, «popolare davvero», come recitava la pubblicità. In aula, di questo sprofondo vengono contestati grossomodo 200 milioni, la somma delle grandi sofferenze che riempiono un capo di imputazione dalla A alla Z e anche oltre, in gran parte derivante dal quadro dei crediti deteriorati che Santoni aveva delineato nella sua relazione sullo stato di insolvenza e che poi sono stati approfonditi dalla procura con le indagini della Guardia di Finanza.

Il professore li ripercorre tutti, incalzato dalle domande dei Pm d’aula Andrea Claudiani e Angela Masiello, ma a volo d’uccello: dieci minuti in tutto su una testimonianza di quattro ore, fra la rivisitazione del lungo declino di Bpel e la storia drammatica della risoluzione, nella domenica più lunga di Etruria, il 22 novembre 2015. Un po’ deludente, forse, ma è una strategia precisa dell’accusa: al liquidatore il compito di delineare il quadro d’insieme, alla Finanza, fra un paio di udienza, quello di ricostruire i singoli episodi.

Con la ciliegina del racconto che porteranno in aula Emanuele Gatti e Girolamo Di Veglia, i due capi-ispettori di Bankitalia che letteralmente sventrarono una banca già decotta di suo. Santoni divide le grandi sofferenze in due categorie. Innanzitutto quelle, diciamo così, derivanti da un calcolo errato della capacità di rientro dei prestiti. E dentro ci sono lo Yacht di Civitavecchia, 25 milioni in fumo, la San Carlo Borromeo del guru Armando Verdiglione, valutazione abnorme di 290 milioni per un singolo immobile, con un finanziamento concesso dalla centrale di Arezzo di 25 milioni (dopo che la filiale di Milano aveva detto no), di cui ben 22 andarono persi.

Unica garanzia un’ipoteca di quarto grado, un pannicello caldo. C’è poi tutto il pianeta Intermedia del finanziere ex rosso Vincenzo Consorte, con i soldi andati anche a Pierino Isoldi e alla Hevea. Un altro disastro. Ci sono infine i crediti concessi in conflitto di interesse, cioè ad amministratori della stessa Bpel e alle loro società. Il più oneroso, in assoluto la maggiore sofferenza di Etruria, è quello andato ai cementifici Sacci dell’ex consigliere Augusto Federici.

In teoria si può fare, basta l’unanimità di Cda e sindaci, condizione rispettata. Ma in pratica si è rivelato una Caporetto: 49 milioni mai rientrati su 52 e non è neppure un calcolo definitivo. Il professore ci aggiunge anche la High Facing del vicepresidente Giorgio Guerrini e la Città Sant’Angelo dell’ultimo presidente Lorenzo Rosi, finanziamento concesso prima ancora che venisse costituita la società, dice lui.

In tutto, ricostruisce puntiglioso, sono state aperte ben 198 posizioni di fido in conflitto di interessi, per un totale di 180 milioni deliberati e 140 erogati, 80 dei quali mai rientrati. Chi governava Etruria, accusa in aula e poi ribadisce nelle interviste alla fine, l’ha usata come un bancomat per i propri interessi personali. E’ quanto appunto dovrà giudicare il tribunale di questo maxi-processo.