
di Alberto Pierini
"Guardali, sembrano Renzo e Lucia": due sacerdoti amici seduti fianco a fianco, don Tafi che passa e la battuta folgorante che spezza la più solenne delle conferenze. Era il suo stile. Lo stile di chi ha passato la vita a studiare la storia dei luoghi aretini. Cento libri, 257 quaderni manoscritti, in parte ritrovati dopo la morte senza neanche una correzione, come fossero stampati invece che vergati a mano. E in mezzo un quaderno fitto fitto di barzellette, irresistibili.
E che usava, come un "anchorman", per allentare la tensione: o farla risalire quando declinava. Cento anni fa nasceva don Angelo Tafi, il 5 aprile 1921. A volte contestato come storico, gli segnavano in rosso il più piccolo errore. Rilievi ai quali rispondeva sgranando gli occhi, lui che sarebbe morto quasi cieco, "Mio caro, nessuno è perfetto". Ma non se ne aveva a male. La grande tonaca nera come divisa, il cane al guinzaglio che lo guidava quando la vista cominciava a cedere, ha continuato a scrivere fino quasi alla morte. Meticoloso, curiosissimo. Divulgatore irresistibile, pioniere Tv a Teletruria. Ogni sua conferenza faceva il pienone. Un po’ per la materia, le pietre e la carne viva di una provincia. E un po’ per l’approccio, mai serioso. Parlava di Medioevo, coglieva uno sguardo in sala e su quello dirottava gli occhi di tutti.
Ha scritto della storia storia del cristianesimo e della chiesa, della storia di Arezzo e della provincia, di storia dell’arte e dell’archeologia. Una biblioteca infinita, in tutto 6957 volumi, che ha lasciato alla sua Castiglion Fiorentino. Lì era nato, lì è stato sepolto. Ma ha segnato i luoghi più diversi. Passavi in Val Cerfone e con una piccola deviazione eri a Pieve a Ranco, lungo la strada, paese del quale era innamoratissimo.
Allungavi ed eccoti a Sansepolcro, descritta numero civico dopo numero civico.E così Cortona. Per non dire del capoluogo: "Immagine di Arezzo" è uno dei libri che campeggia ad ogni Fiera. In due volumi ma mai ripubblicati, malgrado le richieste. Gli sarebbe piaciuto farla uscire a fascicoli settimanali su La Nazione, poi difficoltà logistiche impedirono l’operazione. A ordinarlo sacerdote era stato monsignor Mignone nel 1943. Si era laureato in Teologia alla Gregoriana, quindi la licenza in Diritto canonico, i diplomi in archivistica, paleografia e diplomatica.
Insegnò tutta la vita, religione nelle scuole ed esegesi biblica nella scuola di teologia del Seminario. Affrontava anche le pagine della Bibbia con la stessa verve delle sue ricerche storiche, amava schierarsi, sempre e comunque. Esultava , ad esempio, davanti alle strigliate solenni che San Paolo riservava ai Galati, una delle prime comunità cristiane. A Castiglioni, dopo essere stato per 19 anni parroco a Pergognano, aveva scritto il testo della Passione, di anno in anno rappresentata in piazza, almeno fino al Covid.
Prete vecchio stampo, non lo vedevi mai in borghese, ma uomo del concilio, ai cui maestri si ispirava. "Scavate il Pionta, c’è la storia di Arezzo" il suo ultimo appello. Lo chiamava il Vaticano aretino, pronto a criticarlo, se necessario, come quello vero. Con il sorriso sulle labbra. E una barzelletta a fior di labbra, tratta dal quaderno segreto.