Ceracchini, il pittore protetto dall’amante del Duce: suo il ciclo di Renzino cancellato

Importante esponente della Scuola Romana, Margherita Sarfatti lo volle nella sua Biennale. Gli affreschi sull’imboscata coperti nel ’44

Liletta Fornasari

NRecuperare “pezzi di storia” è intellettualmente onesto. A tale proposito un racconto interessante è quello del caso Ceracchini. Nel 1936 per volontà del Podestà Pier Lodovico Occhini Gisberto Ceracchini,-artista oggi considerato uno dei più importanti della cosiddetta “scuola romana” sviluppatasi tra i tardi anni Venti e i Quaranta del Novecento,- fu impegnato negli affreschi del Sacrario dei Caduti fascisti in Palazzo Camaiani, all’epoca Casa del Fascio di Arezzo e oggi sede dell’Archivio di Stato. La cappella fu aperta al pubblico il 17 aprile del 1936 in occasione del quindicesimo anniversario dei fatti di Renzino. Le pitture di Ceracchini, coperte nel 1945, si collocano nell’ambito del grande interesse celebrativo del regime fascista, oltre che della propaganda anti-comunista.

La cappella è una sala quadrangolare con pareti di sei metri per tre e ottanta centimetri e con sei scene, i cui temi erano strettamente connessi alle esigenze del luogo. Gli affreschi raffiguravano la Famiglia fascista, a destra entrando, l’Imboscata, nell’attigua parte lungo il lato destro, l’Ascensione della Croce, l’Alzabandiera nella prima metà della parete frontale, la Veglia del Caduto, a fianco della porta d’ingresso e l’Italia fascista, nella parete lunga a sinistra. Nel primo era la rappresentazione allegorica di una famiglia di contadini in atto di tenere in mano spighe di grano; nel secondo era descritto l’eccidio di Renzino, ambientato con accenti fedeli alla realtà paesaggistica del luogo; nel terzo si vedeva Mussolini che a cavallo tra la folla assiste all’innalzamento di una grande croce dominante al centro della scena; nel quarto un gruppo di camicie nere in atto di giurare fedeltà alla patria e al regime; nel quinto la veglia alla tomba di Aldo Roselli ucciso a Rnzino; nell’ultimo l’allegoria della Nazione con fabbriche, opifici e nello sfondo la campagna della Valdichiana.

Elogiative furono le recensioni apparse sulla stampa. Nell’aprile del 1936 Alfredo Bennati sulla Nazione scriveva che Ceracchini aveva superato ogni difficoltà e popolando le grandi pareti di figure aveva tracciato il poema che il popolo italiano si trovava a vivere dal 1919. Non meno positivo fu il giudizio espresso da Cipriano Efisio Oppo nel “Popolo”. A suo giudizio Ceracchini, giovane popolano toscano, ma a detta del poeta Vincenzo Cardarelli, “dall’aria spavalda”, si presentava come artista originale. Per Aniceto Del Massa il Sacrario poteva essere considerato una vittoria della giovane pittura, riconoscendo un merito particolare al Podestà Occhini.

Dopo avere concluso l’impresa di Palazzo Camaiani, Ceracchini si trattenne ad Arezzo per preparare le tele da esporre alla Biennale di Venezia e il Comune gli mise a disposizione la palazzina della Fortezza Medicea. Dopo l’esperienza del sacrario, iniziò per Ceracchini una lunga carriera di freschista anche nel dopo guerra. Nato a Foiano il 5 febbraio del 1899 e morto a Petrignano sul Lago nel 1982, Ceracchini si era formato a Roma, dove si era trasferito con la famiglia nel 1915.Il padre gestiva una trattoria in via Monserrato, frequentata da Felice Carena, da Virgilio Guidi, oltre che da De Pisis e da Armando Spadini. Per Gisberto, che già frequentava la scuola cattolica della Testa Spaccata studiando disegno privatamente, furono incontri fondamentali. Per intercessione di Spadini, alcuni suoi dipinti furono ammessi alla Prima Biennale Romana nel 1921.

Intorno al 1926 Ceracchini aveva sviluppato i suoi caratteri principali, ricevendo i primi successi alla Seconda Biennale Romana nel 1923 ed entrando a fare parte di ambienti importanti della capitale. Fu proprio Margherita Sarfatti a volerlo nella mostra Dieci Artisti del Novecento Italiano. La fama di Ceracchini ebbe seguito anche dopo il regime, partecipando con successo alla VII Quadriennale d’Arte Sacra nel 1955.Diversamente da altri cartoni e disegni, non si hanno più notizie di quelli del sacrario, il cui acquisto fu proposto da Ceracchini al Comune di Foiano. La delibera risale al 15 maggio del 1936. Contrariamente da quanto scritto fino ad oggi, ho potuto verificare che la richiesta fu rifiutata per delibera dell’Amministrazione Provinciale. In data 23 giugno del 1936, dopo avere preso atto della Deliberazione del Comune di Foiano e tenendo presente che il Comune avrebbe applicato la sovrimposta nella “misura del terzo limite” - che si trattava di una spesa facoltativa non consentita dalle leggi vigenti- la Prefettura della Provincia di Arezzo, scrive il Capo del Governo, rinviava la delibera stessa. La scelta di proporre la vendita dei cartoni di Ceracchini riflette il clima culturale che si era sviluppato a Foiano.

Per il paese chianino gli anni del regime sono stati particolari. A Foiano c’era una scuola importante, la Regia Scuola Operaia per Arti e Mestieri fondata nel 1917, punto nodale di eventi importanti e fucina di talenti, da Vincenzo Censotti, a Ugo Lani, a Niccolò Marcelli, a Giuseppe Ursi, a Lucio Gnalducci e Maria Vittoria Tiezzi. Fino dagli inizi del XX secolo Foiano si è dimostrato un borgo particolarmente operoso, verificandosi una fase di sviluppo economico e sociale, sebbene non mancassero difficoltà dovute all’assenza di industrie e della ferrovia. Fino dall’inizio del secolo sorse l’esigenza di fare crescere culturalmente la popolazione e per volere dell’Amministrazione Comunale nel 1914 ebbe origine una Scuola di Disegno, applicato alle arti, corso triennale affidato alla direzione del professore Lorenzo Sogaro con sede nel Palazzo del Monte di Pietà. Nel 1917 si deliberò l’istituzione della scuola suddetta, che ha visto direzioni importanti come quella di Artidoro dell’Agnello.