
Il pm Marco Dioni che ha condotto le indagini
Arezzo, 6 settembre 2016 - FORT KNOX story: cinque anni di inchiesta e di processo condensati in una sola udienza e in una requisitoria fiume (5 ore abbondanti). Alla fine, il conto che il Pm Marco Dioni presenta per il più colossale contrabbando d’oro mai scoperto verso la Svizzera (180 milioni ufficiali, ma ben 1,4 miliardi stimati) è relativamente modesto (pene fino a due anni e due mesi) ma il vero carico da undici sono le richieste di confisca: 30 milioni di euro, quanto i beni di cui era stato disposto il sequestro in fase di indagini preliminari. E’ la strada scelta dal magistrato che ha seguito il caso fin dall’inizio: non gravare troppo in termini di entità della condanna ma cercare di recuperare allo stato il più possibile di quanto evaporato attraverso il traffico clandestino.
L’udienza preliminare in corso da mesi, del resto, si è già frammentata in più di un rivolo. Il più grosso è quello di quanti hanno chiesto il patteggiamento: 34 con tutti i protagonisti principali, da Petrit Kamata, l’imprenditore svizzero di origine albanese che gli inquirenti ritengono il capo dei capi del contrabbando, del quale tirava le fila da Chiasso, Michele Ascione, l’orafo aretino che è stato l’ultimo referente in loco di Kamata, e altri personaggi importanti del mondo dorato dei gioielli. Per loro Dioni ha chiesto che venissero giudicati equi gli accordi già raggiunti fra lui e gli avvocati difensori, con pene massime di due anni.
UN CASO a parte è quello di Andrea Squarcialupi, amministratore delegato di Chimet, il gigante di Badia al Pino. Lui ha ammesso di aver raffinato l’oro ma ha spiegato di non conoscerne la provenientenza illecita. Per l’accusa va bene l’accordo sulla messa in prova (un istituto mutuato dal diritto minorile) stilato con la difesa: se nel periodo in cui sarà sotto controllo il manager non incorre in altri illeciti, eviterà ogni conseguenza anche sulla fedina penale.
Ci sono poi i 19 che hanno scelto il rito abbreviato: il Pm ha sollecitato la condanna a due anni e due mesi di Fabio Vairo, che aveva un ruolo analogo a quello di Ascione, cioè il punto di riferimento degli orafi, per la zona di Napoli. Assoluzione invece per il figlio di Kamata, Matteo. A giudizio dell’accusa non ci sono prove sufficienti a suo carico. Infine gli otto che, convinti di cavarsela senza danni, hanno imboccato la strada del rito ordinario, cioè del processo pubblico. Per tutti Dioni ha chiesto il rinvio a giudizio.
UNA CONCLUSIONE giunta intorno alle cinque di sera, dopo che il Pm aveva ripercorso per ore la storia dell’inchiesta e delle presunte responsabilità di gran parte degli imputati. Comincia tutto, come sa chi ha seguito le indagini, con il fermo in A1 nell’estate 2011 di un napoletano, uno dei fratelli Pesce, sorpreso con un grosso carico d’oro. La Polstrada passa la palla alla Finanza e ben presto cominciano le intercettazioni che portano fino a Kamata e poi alla ricostruzione dell’intero traffico. In un primo momento i referenti aretini dello svizzero sono i Tremonte, famiglia di orafi, che nell’estate 2012 cedono il passo ad Ascione. E’ lui che viene sorpreso nell’ottobre 2012 a scambiarsi contanti contro oro per 2 milioni nella sua villa di Marciano. Poi il diluvio, ovvero il blitz di novembre con decine di perquisizioni e di sequestri. Il resto è la cronaca di un’udienza preliminare- processo giunta al momento clou. Sentenza il 4 ottobre.