Strage, ripreso il processo. In aula due imputati

La Cima Riparazioni detta la linea difensiva scaricando le colpe sui colleghi tedeschi. «Per noi era tutto ok»

La strage di Viareggio

La strage di Viareggio

Viareggio, 17 settembre 2015 - Potevano gli operatori della Cima riparazioni rendersi conto che l’assile che stavano montando sul carro merci della morte era un pezzo usurato e logorato e che mai e poi mai avrebbe potuto e dovuto circolare su qualsiasi ferrovia del mondo? E’ questa la domanda che è aleggiata a lungo al polo fieristico di Lucca dove è ripreso ieri il processo per la strage del 29 giugno 2009 a carico di 33 imputati. La domanda, ovviamente, resta in sospeso. Per la procura e gli avvocati di parte civile anche i tecnici della Cima hanno le loro belle responsabilità. Di tutt’altro avviso l’avvocato difensore, Fabio Giarda, che ha portato direttamente in aula due degli imputati del gruppo Cima, perché spiegassero direttamente loro al Collegio giudicante (presidente Gerardo Boragine coadiuvato da Nidia Genovese e Valeria Marino) le procedure operative seguite nella circostanza da Cima Riparazioni. Per questo si sono presentati in aula Giuseppe Pacchioni, amministratore unico dell’azienda, all’epoca direttore generale, e Daniele Gobbi Frattini che era il responsabile del reparto tecnico. La posizione sostenuta in aula da Cima Riparazioni è chiara. Nel febbraio del 2009 hanno revisionato il carro merci poi deragliato alla stazione di Viareggio. Dagli esami fatti con gli ultrasuoni emerse che due sale (vale a dire asse più ruote) non erano più buone per problemi non risolvibili al bordino delle ruote. Pertanto è stata informata la Gatx proprietaria del carro che quelle sale dovevano essere sostituite. La Gatx, tramite l’officina Jungenthal invia altre due sale. Una delle quali (lo scopriremo tragicamente quattro mesi dopo) è in condizioni ancora peggiori di quelle da sostituire. 

Ma alla Cima nessuno se ne accorge. Perché? «Perché effettuiamo controlli accurati con gli ultrasuoni – spiega Giuseppe Pacchioni – solo quando facciamo la revisione su carri che sono in circolazione. Nel caso specifico l’asse era stato inviato dall’officina Jungenthal dove era stato revisionato. Era impossibile per noi fare una revisione sulla revisione». Quindi un semplice controllo visivo, anche se durante il dibattimento non è apparso chiaro che cosa s’intenda nello specifico per controllo visivo e che cosa debba fare l’operatore. «In sostanza – ha provato a spiegare Daniele Gobbi Frattini – si prende la sala che arriva su un camion e si verifica che non abbia subito danni evidenti lungo il tragitto. Per il resto si verifica la documentazione inoltrata, vale a dire se corrisponde il numero di matricola richiesta, se il diametro delle ruote è quello conforme, se la verniciatura è integra. Constatata questa idoneità, noi montiamo la sala». E nel caso specifico la documentazione cartacea arrivata dalla Germania e la piastrina applicata all’assile dicevano che all’officina Jungenthal era stata fatta la revisione IS2 secondo il manuale VPI, vale a dire con l’uso degli ultrasuoni.

Cima, insomma, scarica le responsabilità sui colleghi tedeschi della Jungenthal. Aspetto che cerca di chiarire nel dettaglio l’ingegnere Gianni Nicoletto, consulente tecnico incaricato dall’avvocato Fabio Giarda. «Quell’assile – ha detto – presentava una cricca, cioè una frattura, nell’area del collarino di circa 10-12 millimetri. Tale cricca doveva essere ben visibile a un esame accurato ed effettuato secondo manuale. Ma sicuramente tale cricca non poteva essere visibile a occhio nudo da nessun operatore della Cima Riparazioni, perché si trovava in una zona nascosta del collarino. Inoltre l’asse è stato consegnato perfettamente verniciato e con una corretta documentazione che attestava l’avvenuta revisione. Un ulteriore controllo con le macchine non è previsto, anche perché non è mai successo e non è pensabile di effettuare una revisione su una revisione già fatta».

Paolo Di Grazia