Delitto Romanini: "Stefano firmò la polizza un anno prima"

Il pm: seicentomila euro, in caso di morte, sarebbero andate alla società del cugino

Stefano Romanini

Stefano Romanini

Viareggio, 25 novembre 2015 - Stefano Romanini era l’«uomo chiave» della polizza infortuni e vita sottoscritta un anno prima della sua scomparsa – a fronte di un versamento di un premio unico di 1369 euro – con la compagnia Toro Assicurazioni di Massarosa. In caso di incidente o di morte a beneficiarne – con un assegno da 600mila euro – sarebbe stata la società RB Escavazioni della quale fino a pochi mesi prima era stato co-titolare assieme ai figli del cugino Roberto. Particolare non secondario, anzi determinante per gli inquirenti, per inquadrare l’impalcatura accusatoria che ha portato sul banco degli imputati Roberto Romanini come mandante del delitto del cugino Stefano: la polizza scadeva proprio il giorno in cui Stefano Romanini venne ucciso davanti casa mentre stava andando al lavoro.

La genesi di questo contratto assicurativo l’ha raccontato nel corso dell’udienza uno dei testi dell’accusa, Luigi Duccini, titolare dell’agenzia assicurativa. Duccini ha intanto premesso di conoscere da diverso tempo Roberto Romanini. «Era un mio cliente – ha ricordato –: fu lui a presentarmi il cugino per stipulare quella polizza, un tipo di assicurazione che è abbastanza frequente per chi opera nel settore, si può parlare comodamente di polizza standard con un investimento sulla persona».

Duccini ha anche chiarito che dopo il delitto e l’inchiesta, la polizza è stata congelata. «Due giorni dopo il delitto – ha detto ancora – Roberto Romanini mi chiese informazioni su quella polizza». Ma per la difesa quella polizza non ha niente a che vedere con il delitto: insomma non si tratta di vicende convergenti da di fatto divergenti.

Ma il nodo dei soldi e dei rapporti fra i due economici fra i due cugini sono stati messi sotto i riflettori del processo anche da Giovanna Marchi, direttrice di banca, che aveva seguito le fasi della «nascita della nuova società», per conto dell’istituto di credito, quella nella quale Roberto Romanini era entrato a sostegno del cugino che aveva avuto problemi di natura economica. «Mi disse – ha ricordato – che lo faceva perché Stefano per lui era come un fratello e che lo aveva promesso alla zia (la mamma della vittima n.d.r.). Non solo: l’ingresso dei due figli nella ragione sociale era un anche modo per responsabilizzarli».

Ma questo progetto ben presto non riuscì a decollare tanto è vero che dopo un paio di mesi Stefano Romanini uscì dalla società. «Roberto Romanini – ha raccontato Giuliana Marchi – se la prese con me accusandomi di avere messo in un mare di guai i suoi figli: in realtà io non mi ero occupata delle fidejussioni. Non solo: tutta la pratica societaria era di pertinenza del commercialista Marcello Pierucci». Un ginepraio societario con debiti da onorare e anche – come avrebbe detto più volte lo stesso Roberto Romanini – «la concorrenza sleale da parte del cugino quando era uscito dalla società e aveva messo in piedi una piccola società sempre nel settore delle escavazioni e del movimento terra».