Francesco Mati e la candidatura per guidare il distretto: "Non sono io l'asso nella manica"

La città e il vivaismo, le difficili sfide per il mondo verse pistoiese: "Rinnovarsi"

Francesco Mati

Francesco Mati

Pistoia, 16 novembre 2014 - «Il vivaismo? Deve essere riconfigurato». Francesco Mati, imprenditore pistoiese considerato tra i più innovativi nel settore, parla con linguaggio da era digitale per affrontare i problemi che, da tempo, si affacciano all’orizzonte e preoccupano non poco gli operatori del mondo verde locale. E proprio Mati – oggi al vertice della Federazione dei florovivaisti di Confagricoltura nazionale – espressione con l’omonima azienda di un vivaismo non tradizionale (non solo produzione di piante ma anche realizzazione di giardini di pregio chiavi in mano), viene dato per colui che potrebbe forse mettere tutti d’accordo per la futura guida del Distretto, impallato da mesi proprio dalle contrapposizioni tra associazioni sulla scelta del nuovo presidente.

Accetterebbe l’incarico? «In questa difficile fase di crisi, accettare vorrebbe dire lasciare gli altri impegni (Mati è anche vicepresidente a Pistoia di Confagricoltura, per la quale siede a livello nazionale ai tavoli ministeriali per il florovivaismo ed è nel consiglio direttivo di Piante e fiori d’Italia ndr).

Quindi, è un no? «C’è un ampio ventaglio di altri candidati, persone con più competenze di me, quanto a conoscenza del territorio e in fatto di rapporti con le amministrazioni locali».

Ma se fosse l’unico a riuscire a mettere tutti d’accordo? «Non credo di essere io l’asso nella manica. E posso peccare di presunzione, ma ritengo di essere più utile per il nostro settore mantenendo gli impegni attuali a livello nazionale».

Ma lei crede nel ruolo del Distretto? «E’ un luogo utile all’incontro tra le attività imprenditoriali e le amministrazioni locali per definire le linee guide per il settore, le regolamentazioni, le norme, le azioni da porre in essere nel territorio. Serve a dare degli input, visibilità e rappresentanza a produttori, indotto, filiera... Le aziende sono tutelate dal distretto».

Ma è anche luogo, come dimostra con l’attuale impasse, di contrapposizioni. «In questo momento il Distretto deve essere un’opportunità per ricomporre le divisioni. Quando siamo in guerra – condizione alla quale ci costringe la crisi – bisogna essere capaci di allearsi con i vecchi nemici. Ma attenzione: non credo che rivali storici pistoiesi possano seppellire l’ascia di guerra. Se si punta a questo, i risultati non ci saranno. Le aziende reciprocamente nemiche, restano tali. Il Distretto può e deve essere invece in grado di creare i presupposti giusti per resistere sul mercato globalizzato, disegnare il campo di battaglia ottimale per combattere questa guerra ad armi pari».

Perché il vivaismo deve essere «riconfigurato»? «Perché oggi l’economia viaggia alla velocità di Internet, mentre la nostra politica, la pubblica amministrazione si muove con i tempi del fax, anzi della posta ordinaria. E gli imprenditori, pure, devono pensare 2.0, anzi 3.0, perché nel nostro settore si decide oggi un prodotto, le piante, che saranno pronte tra uno-due-cinque anni. Dobbiamo riuscire a immaginare in anticipo lo scenario futuro, essere pronti ad affrontarlo».

Gli imprenditori appaiono in difficoltà in un mercato completamente trasformato? «Il modello di vivaismo che ha fatto la fortuna di Pistoia o non esiste più o si sta estinguendo. Dal 2007 quando eravamo in piena fase di sviluppo è cambiato tutto. E’ un ciclo che va a finire. Nel 2013 a livello nazionale si è registrato un calo di produzione del 20% e le previsioni per quest’anno sono simili. Anche Pistoia sta in questo trend». E l’export? «Le rilevazioni sulle esportazioni sono deludenti, in calo. Soprattutto a causa dell’eccessivo costo del lavoro italiano che rende i produttori di piante tedeschi ed olandesi più competitivi. Le buste paghe dei nostri dipendenti si fermano a mille e 300 euro, quando agli imprenditori costano più del doppio: 2mila e 700».

Una sfida difficile anche per gli imprenditori, assediati da competitori sempre più aggressivi. «Il rischio è sottovalutare il problema, soprattutto da parte delle istituzioni. Gli attuali meccanismi della pubblica amministrazione andavano bene negli anni Settanta. Oggi sono obsoleti. E’ quasi già tardi per rivederli».

Quali misure possono essere messe in atto per dare ossigeno al vivaismo? «Il ministero dell’Ambiente ha stanziato 6 miliardi per la riqualificazione del disastrato territorio nazionale. Bene, una quota parte di queste risorse sia destinata a nuovi alberi e piante per consolidare le aree fragili. Seconda azione: il governo decida di tornare a investire sul verde urbano, considerandolo a tutti gli effetti opera pubblica necessaria. E pensare che non servono miliardi, ma milioni. Con quello che costa un lampione si acquistano sei alberi. Un piano di riqualificazione nazionale di base potrebbe costare 500 milioni e darebbe linfa a tutto il settore. Oggi gli alberi in Italia si ammalano e uccidono i cittadini invece di essere una risorsa per la loro salute, come dovrebbe essere».

E dal punto di vista della reazione delle imprese? «Le imprese pistoiesi devono innovare prodotto e tecnologia, per continuare a distinguersi. Il nostro valore aggiunto altrimenti sparità. Faccio un esempio: in Francia un vivaista in collaborazione con il Cnr d’Oltralpe ha realizzato un platano che non si ammala di cancro colorato, quando morivano centinaia di migliaia di piante. Ha depositato il brevetto e nessuno può copiarlo».

Ma Pistoia è ancora la corrazzata del vivaismo mondiale o no? «Deve rimanerlo, con le sue mille e 300 aziende. E il mercato continua ad avere potenzialità incredibili. Dobbiamo riportare la domanda a superare l’offerta. Non importa se poi un rivale ottiene una commessa. La prossima volta la ottieni tu».

​Cristina Privitera