Ammanchi nei conti delle case popolari: "Costretta a patteggiare"

Parla l'economa licenziata: "Volevo chiudere la questione velocemente. Quei soldi non li ho presi"

Soldi

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Pistoia, 21 ottobre 2016 -  «A questo punto, visto che la vicenda è emersa pubblicamente ritengo giusto far sapere che sono innocente anche se ho deciso di patteggiare e restituire i soldi». B. M., l'economa condannata per danno erariale e peculato, vuole dare la sua versione della questione «ammanchi» nelle casse della Spes, la società consortile che gestisce le case popolari per quasi tutti i comuni della provincia di Pistoia. Un «buco» di quasi 150mila euro di cui 26mila euro sono già stati restituiti dall’ex dipendente alla società. La donna si era gettata tutto alle spalle, velocemente, perchè non voleva far sapere nulla alla sua famiglia: nè del licenziamento nè della condanna. «Lo scorso anno ho scelto la via più veloce per andarmene da quegli uffici – spiega –Dopo un’umiliazione del genere non sarei riuscita a restare. Ho anche pensato che comunque sarei andata in pensione dal 2017 e che quindi avrei potuto dedicarmi alla casa. Non volevo creare un dispiacere alla mia famiglia. Lo hanno saputo ieri mattina dai giornali».

Ora però, che le accuse continuano ad essere pesanti nei suoi confronti (in corso un nuovo esposto nei suoi confronti per altri 116mila euro che non risultano a partire dal 2010) l’ex dipendente vuole difendersi. «Non ho preso io quei soldi anche se quei 26mila euro li ho restituiti – tuona – L’ho fatto per senso di responsabilità e per il ruolo che ricoprivo in quegli uffici ma ci tengo a sottolineare che la chiave della cassaforte era a disposizione di altre persone dentro la società». E allora perchè hanno subito pensato a lei?

«Perchè ero, in quegli anni, soprattutto nel 2012, l’anello debole – commenta con gli occhi lucidi –. Non ero quasi mai in ufficio, uscivo con i permessi per mattinate intere. Mia madre era stata operata da poco ed ho dovuto assisterla continuamente. Come potevo portare via dei soldi se non c’ero quasi mai? E poi, tengo a dirlo non ho mai avuto potere di firma». Secondo l’ex dipendente si trattava soprattutto di ammanchi sui soldi contanti, quelli che quotidianamente venivano conservati nella cassaforte della società. Oppure assegni circolari. «Ogni mese in quegli uffici giravano almeno 10mila euro e non c’era giorno che in cassaforte non ci fossero almeno 1000 euro – racconta – Io nascondevo la chiave, ma lo sapevano anche altri dove si trovava. Sono mancata per lunghi periodi, non sono stata io e per queste nuove accuse mi difenderò. La giustizia questa volta farà il suo corso e vedremo come andrà a finire. Ho intenzione di chiedere i danni». Intanto però l’esposto andrà avanti così come il ricorso davanti al Giudice del lavoro. «Andremo  fino in fondo e se verrò condannata anche questa volta potranno prendere ben poco. Non ho proprietà, ho poco o nulla. Ma questa volta voglio difendermi».