CRISTINA LORENZI
Cronaca

'L'ira cristiana' di Don Raffaello contro il parroco a luci rosse

Un sacerdote apuano in una lettera ai fedeli mostra di non condividere il riserbo della curia

I fedeli che domenica mattina hanno protestato sotto la Curia contro il prete a luci rosse

I fedeli che domenica mattina hanno protestato sotto la Curia contro il prete a luci rosse

Carrara, 22 febbraio 2016 - «RISPETTO senza condividerlo il prudente riserbo dell’autorità competente». Entra a gamba tesa nella delicata e triste vicenda del prete a luci rosse, per cui anche ieri si è tenuto un sit in di fedeli sotto la cattedrale, il parroco del duomo, don Raffaello Piacentini. Con una lettera a tutte le famiglie della parrocchia che sul web ha avuto un immediato impatto virale, il sacerdote, da sempre noto per la sua schiettezza, la sua libertà e per il suo amore per la giustizia e la verità, attacca il suo documento con «sgomento» e non usa mezzi termini nei confronti di chi tace mentre dovrebbe prendere una seria posizione. «Sgomento è il sentimento – scrive il parroco – che ho accolto in tanti fratelli della nostra parrocchia.

Unito a un’esigenza di chiarezza su una vicenda triste e torbida riguardante un confratello, di cui stampa e tv hanno parlato ampiamente. Sento di fare mia la scelta del profeta: “per amore di Sion non tacerò“. Comunità sconcertate e deluse, che soffrono il silenzio di chi ha il dovere, sì della carità, ma anche della verità e che hanno il diritto di sapere, in nome di una comunione che non va solo detta, ma vissuta. Se è vero, e per ora non ci sono smentite, quello che è stato scritto e trasmesso sui comportamenti gravi di un presbitero, il dolore è grande. Un cristiano, un prete, chiamato a seguire Gesù povero, che accumula ricchezze in modo discutibile sperperandole sfrontatamente in cene sontuose e in alberghi di lusso, è colpevole di chiudere gli occhi alla mano tesa dei poveri. A questo fratello che non solo ha sbagliato, ma ha scandalizzato, consiglio in questo Anno santo, di di cambiare rotta e scegliere seriamente una vita riservata di preghiera e penitenza. Alle comunità, specie a quelle più ferite dai comportamenti di chi è stato loro pastore, chiedo perdono per le sofferenze morali ricevute, un perdono che non pretende di annullare azioni di giustizia, ma solo di tenere il cuore libero dal rancore». Don Raffaello aggiunge che non avrebbe scritto il documento «se si fosse ascoltato un detto non sempre consigliabile “il silenzio è d’oro“. Ci sono però dei momenti dove occorre predicare sui tetti, specie se è dovere grave fare un servizio di verità al popolo di Dio. Una verità che rende liberi se cercata per amore. Alla mia gente che mai cesserò di ringraziare per la testimonianza di fede e carità che semina, offro con amicizia la riflessione di una giovane deportata di Auschwitz, Etty Hillesum. Servirà a inquadrare cristianamente una vicenda che ci ha resi più poveri, ma ha pure il segreto di far crescere la speranza: "a sera quando il giorno si è inabissato dietro di noi, mi capita di camminare lungo il filo spinato e dal mio cuore si innalza una voce che dice che la vita è una cosa splendida e grande. A ogni nuovo crimine dovremo opporre un nuovo pezzetto di bontà e d’amore che avremo conquistato in noi stessi. Possiamo soffrire, ma non dobbiamo soccombere". Una voce di giustizia, quella dell’impetuoso e grande don Raffaello, che con un messaggio profondamente cristiano tende alla verità e alla speranza di un mondo migliore.