Lacrime e cimosate

L'editoriale

L'editorialista de La Nazione Marcello Mancini

L'editorialista de La Nazione Marcello Mancini

Firenze, 14 settembre 2014 - La mozione degli affetti fa sempre bene. Siamo un popolo di romanticoni e scommettiamo che qualche ministro domani si commuoverà, tornando sui banchi della vecchia scuola, come ha “consigliato” il presidente-immagine Renzi. Via libera alla lacrima, non c’è nulla di male, ma il primo giorno di scuola offre altri motivi per cui vien da piangere. Di rabbia. Non so come sono messe le aule dove vanno i vostri ragazzi, ma a Prato, a Cecina, ad Arezzo - l’elenco sarebbe lunghissimo - ci sono edifici scolastici che hanno bisogno di consolidamenti o non sono a norma: un tetto da rifare, una finestra da sistemare, laboratori da ampliare. Alcuni hanno deciso di imboccare la strada del fai-da-te: anticipano i soldi che poi, sperano, saranno rimborsati. Da chi? Forse dalle Province, competenti fino a oggi dell’edilizia scolastica. Che però sono state abolite. L’eredità dovrebbe toccare a Comuni o Regioni, ma la geografia delle responsabilità è pericolosamente incerta. Il problema politico può anche passare in secondo piano, è quello amministrativo che non deve essere appoggiato in un cassetto incrociando le dita: guai a scoprire la precaria stabilità delle nostre scuole nel momento dell’emergenza.

E’ QUELLO che accade, e di cui ci accorgiamo, quando cede il soffitto di un’aula o affiorano crepe in una parete, e bisogna ringraziare il Cielo che s’è solo sfiorata una tragedia. Siamo abituati a chiudere la stalla quando i buoi sono già scappati, e siccome la fase di passaggio delle scrivanie da un ufficio all’altro rende orfane le responsabilità, c’è il rischio che l’edilizia scolastica diventi una voce fioca. Invece va ascoltata prima di altre, perché riguarda la sicurezza dei ragazzi che ogni mattina mandiamo in classe. E sappiamo che, senza soldi, c’è un fuggi fuggi generale per evitare la pesante eredità delle Province. Una brutta gatta da pelare, se consideriamo che il 30 per cento delle scuole è stato costruito fra il 1945 e il 1960: il Censis ha rivelato che 9mila edifici sono senza intonaco, 7.200 avrebbero bisogno di nuovi tetti e coperture, in 24mila non funziona l’impianto elettrico e non c’è il riscaldamento. 

Così, a tentoni, andiamo domani a cominciare un altro anno di tribolazioni. Il governo giura che impegnerà tutto se stesso per la palestra dove crescerà il futuro del Paese. Eppure l’annuncio che saranno assunti 100mila insegnanti - servirà ancora un miliardo per pagare i nuovi stipendi... - è, appunto, un annuncio. Di buono c’è che conferma la coerenza del premier: Renzi ha sempre proclamato la scuola come priorità. Di meno buono - a parte l’attesa che le parole si traducano in posti fissi di lavoro - c’è che per ricostruire il sistema dell’istruzione in Italia, bisogna intervenire in maniera più pesante. Ieri abbiamo raccontato i tormenti - ma poi mica tanti - di Maria Chiara Carrozza, che ha guidato per sei anni la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, e soprattutto è stata ministro dell’Istruzione nel governo Letta. Ebbene, la professoressa Carrozza ha ammesso che sta valutando l’ipotesi di spostarsi all’estero. Come dire: un cervello in fuga. Proprio lei non smentisce lo slogan: nel mondo della ricerca e dell’Università si continua a far poco per trattenere le forze migliori. Non ci sono abbastanza piani di investimento e i giovani scienziati, che in Italia vengono preparati bene, preferiscono andare a lavorare dove i loro sforzi sono sostenuti da finanziamenti e mezzi invece di essere presi a cimosate. Vecchi difetti che cercano una soluzione strutturale. Passo dopo passo, ma senza indugi.