La bianca siamo noi

L'editoriale del direttore della "Nazione"

Pier Francesco De Robertis, direttore della "Nazione"

Pier Francesco De Robertis, direttore della "Nazione"

Firenze, 24 maggio 2015 - C’è uno spettro che si aggira su queste elezioni regionali, ed è quello dell’astensionismo e, come nelle altre occasioni recenti, il partito della scheda bianca è il più gettonato di tutti. A una settimana dal voto, le poche discussioni politiche che si accendono in giro sono sulla percentuale effettiva di elettori. Chi dice il 45, chi il 50, in pochi si azzardano ad alzare l’asticella. I partiti e i leader fanno finta di allarmarsi, si dicono preoccupati ma sanno benissimo che della bassa percentuale di votanti si parla dall’ora di chiusura delle urne fino a quando arrivano i primi risultati, momento in cui parte l’ipocrita festival dell’«ho vinto anch’io» e dell’astensionismo non importa più a nessuno. Poi si assegnano i seggi, e quelli contano.

Parole, parole, parole. Delle ultime elezioni europee Matteo Renzi ha ricordato mille volte il suo 40 e rotti per cento e mai si è preoccupato di rammentare che aveva votato poco più di metà degli aventi diritto. Quando un mese e mezzo fa si è trattato di decidere la collocazione temporale di questo voto, i politici non si sono fatti scrupoli a individuare l’unico ponte festivo di tutta la primavera, la peggior data possibile se si voleva davvero invitare i cittadini a non disertare le urne. Ma c’è dell’altro. La fine delle appartenenze e la fine dei partiti ha favorito specie a livello locale un certo grado di trasformismo e di disgregazione che ha disorientato gli elettori. Basti pensare a quanto accaduto nella Marche, dove il governatore uscente del centrodestra si ripresenta adesso come campione del centrodestra, o in Puglia, dove la candidata di Forza Italia è di un partito che corre contro Forza Italia, o in Toscana dove il centrodestra che già non se la passa bene si presenta con tre candidati diversi.

Senza addentrarsi troppo nel travaglio dell’Ncd, partito fondamentale per il governo, che in sette regioni si presenta con sette simboli e sette alleanze diverse. xx A tutto questo disgregarsi si aggiunge poi la crisi irreversibile dell’istituto Regione, minato prima dagli scandali dei mille Batman in giro per l’Italia, poi dal nodo irrisolto delle regioni a statuto speciale, vero e proprio privilegio ormai desueto, infine dall’idea che comunque questo federalismo all’italiana rafforzato dalla riforma del Titolo V voluta dal centrosinistra è stato un costo e non un guadagno, e che le Regioni servono soprattutto ad aumentare le tasse a livello locale. Ecco, con un quadro così composito, con i politici nazionali che nei fatti se ne fregano e quelli locali che navigano a vista, la scheda bianca più che un rischio è una certezza. Una risposta ovviamente sbagliata, perché l’astensione è un non partito che alla fine un padrone lo trova sempre, e non va lasciato ingrossarsi troppo se non si vuole allevare una bestia che prima o poi contro qualcuno si rivolterà. Ci salveranno almeno un po’ (forse) le preferenze, almeno in questo turno regionale visto che poi arriverà il parlamento dei nominati dell’Italicum, unico flebile legame rimasto tra il territorio e gli eletti, che convincerà qualcuno in più ad andare alle urne. Le Regioni servono a poco, i consiglieri regionali a meno, ma chi andrà a votare avrà la soddisfazione di averli scelti di persona.

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