Sfide metropolitane / Prato, dentro e fuori dai confini

Il viaggio nel tessuto economico dell'area metropolitana. La fermata di oggi è insolita: Prato. Che non è nella Città metropolitana, o almeno non formalmente...

Sfide metropolitane fa tappa a Prato (foto di Eva Bagnoli)

Sfide metropolitane fa tappa a Prato (foto di Eva Bagnoli)

Firenze, 17 novembre 2015 - Sfide Metropolitane è un reportage sulla crisi realizzato da quattro giovani fiorentini. Ogni lunedì, sulle pagine online de La Nazione, racconteranno con testi, foto e video tutti gli aspetti della crisi, le storie di chi si trova in difficoltà e di chi ce l'ha fatta. Ecco la 14esima puntata, Firenze-Prato, 20,2 km.

Siamo usciti dal seminato, che detto rispetto alla puntata di oggi è quasi una battuta. Abbiamo promesso che ci saremmo tenuti nei confini della città metropolitana, e siamo stati fin qui fedeli alle nostre parole. Oggi, però, abbiamo deciso di trasgredire il nostro voto e ci spostiamo in una città che città metropolitana non è, almeno formalmente. Oggi andiamo a Prato. E ci facciamo guidare nella nostra piccola esplorazione per storie da due giovani uomini più o meno trentenni, coetanei che guardano la propria città con amore, ma anche molta attenzione.

Il primo lo troviamo in una chiesa sconsacrata che si trova lungo il perimetro del centro storico della città: l’ex Chiesa di San Giovanni. L’incontro si svolge a fine agosto, quando il piccolo ex-luogo religioso è la base organizzativa dell’imminente rassegna del Settembre Pratese. Il suo nome è Jonathan Targetti, e lo abbiamo contattato in merito alla sua lunga militanza come ‘blogger della città’, attraverso il sito del Bubbone. Oggi, ci dice, ha messo un po’ da parte quella esperienza, e i motivi diventano automaticamente chiari non appena ci parla di tutte le cose a cui sta dedicando il proprio tempo, a partire dal lavoro con la società di comunicazione di cui è fondatore, per finire alle tante attività di impulso e promozione legate al mondo della cultura. E con il termine cultura siamo al punto della questione. Il perché è presto detto: tra i tanti di cui ci parla, spiccano senz’altro due progetti, quello che ha nome ‘Distretto Parallelo’, con cui si vuole rompere l’equazione Prato=tradizione industriale (l’altro distretto, che ad infinito si incontra con il tessile, è quello che raccoglie i luoghi dell’arte contemporanea, messi in parallela contrapposizione ai capannoni del Macrolotto) e quello con cui si vuole competere per far diventare Prato Capitale Europea per la Cultura nel 2033 - che sembra quasi un futuro remoto, a pensarci, ma è l’orizzonte temporale giusto per ragionare su come rendere l’investitura una opportunità con cui trasformare la città e darle il respiro internazionale che in alcuni momenti pare anelare. Le parole di Jonathan su Prato sono, quindi, per la maggior parte sulla cultura, una articolata presentazione della visione che vede nel rapporto con Firenze necessità di dialogo più che di scontro. In riva all’Arno hanno una posizione inattaccabile per quel che riguarda l’arte e la cultura rinascimentale e moderna, ma se passiamo al contemporaneo, in riva al Bisenzio hanno molto da dire, anche più che nel capoluogo. A cominciare dal Museo Pecci, secondo in Italia solo al Mart di Trento e Rovereto; per continuare con le tante gallerie e spazi di produzione artistica che sono stati raccolti nel Distretto Parallelo.

Ma Prato è anche la città dell’immigrazione, con la comunità cinese ufficiosamente più grande d’Italia e altre 148 etnie censite. L’incontro con il diverso è un importante motore di cambiamento e innovazione, e si configura agli occhi di chi lo guarda senza pregiudizi come un importante volano di scambio e arricchimento. Prato, però, rimane sempre una città dall’importante tradizione imprenditoriale - aspetto a volte parodiato dai vicini fiorentini - che ha dato vita a realtà importanti dell’industria toscana. Oggi il maggiore dinamismo è impresso dalle società che lavorano nei settori innovativi, come l’ICT, storie che parlano oggi di partite Iva e idiosincrasie nella rappresentanza offerta dalle associazioni di categoria.

Parlare con Jonathan è sentire le parole di un pratese che ama la propria città, e che non resiste a farne innamorare un po’ anche chi ascolta, ma a noi restano degli interrogativi da sciogliere, e per questo decidiamo di rivolgerci a Marco Betti, collaboratore dell'università di Teramo e di Firenze, che svolge la sua attività quotidiana presso il Pin, il polo universitario di Prato - che si chiama come il codice con cui entriamo nel telefono o nella carta di credito, un codice d’accesso, appunto. Marco è un sociologo che ha tra i propri interessi di studio preminenti lo sviluppo locale, ma è anche un pratese che ha sempre amato seguire e partecipare alla vita pubblica e politica del proprio territorio. Un osservatore dal di dentro, la cui visione interessata è equilibrata dall’amore per la scienza e la ricerca.

E anche in questo caso abbiamo già la parola d’ordine per introdurre il racconto: visione, ovvero in questo specifico contesto, la capacità di spingere il proprio campo visivo oltre quella che il nostro interlocutore definisce ‘ossessione per il confine amministrativo’. Il ragionamento è semplice: la provincia di Prato, quando venne istituita, aveva delle proprie ragioni costitutive, era un ente che dava una veste istituzionale - e dunque rendeva visibili - determinati processi produttivi e sociali o, detto in altre parole, era la risposta della politica al distretto e un tentativo di governarne le dinamiche. Oggi che le province sono state eliminate di certo si è perso un riferimento per il territorio, ma è una perdita relativa, perchè nel frattempo i processi di cui sopra sono cambiati enormemente e affinché possano essere compresi bisogna allargare il proprio campo visuale e ragionare non più in ottica di ente locale, ma di area vasta.

Perché è indubbio che dai colli pre appenninici di Firenze parta una unica conurbazione comprendente Prato e Pistoia, una città metropolitana di un milione di abitanti che richiede di essere governata come tale, e non sulla scorta della vecchia toponomastica amministrativa. Qualche esempio? L’aeroporto. Firenze ne vuole uno all’altezza dei flussi turistici di cui è fatta oggetto. Un aeroporto fatto a questa maniera, però, si realizza con un’ infrastruttura che interessa territori esterni al comune, territori dai quali si sollevano ovvie polemiche, visto che l’opera è pensata per soddisfare le esigenze della sola Firenze. Originano così, da questa dinamica fatta di cortine di ferro e ognuno pensi per sè, le logiche compensatorie per cui ai comuni interessati dalle esternalità negative dell’infrastruttura (es. inquinamento acustico e atmosferico) si concedono risarcimenti. La logica, invece, dovrebbe essere un’altra, ovvero quella di spartire i vantaggi apportati dalla realizzazione dell’aeroporto con tutti i territori interessati dall’opera, creando, per dirne una, un’offerta turistica allargata a Prato e alle altre località della piana. È questo quello che significa aver una visione più ampia, ragionare in una ottica di area vasta metropolitana.

Un altro esempio? Lo stadio, che pare non possa proprio farsi se non nel perimetro comunale di Firenze, perchè la logica identitaria che non accetterebbe mai uno stadio fatto altrove - anche se si trattasse di un altrove vicino e comodo da raggiungere - ha il sopravvento su quella funzionale, e allora pace se poi si congestiona una città di cantieri e infrastrutture e non si coglie l’occasione per allargare le possibilità di sviluppo sul territorio. Ma questa logica ampia, secondo Marco, andrebbe applicata non solo alle situazioni di vantaggio, bensì anche per risolvere i problemi. Perchè è semplice dire che l’integrazione della comunità cinese è un problema di Prato; un po’ più difficile è vedere che le reti dell’immigrazione attraversano bellamente i confini amministrativi alla ricerca di opportunità e vantaggi economici. E allora le risorse con cui gestire simili criticità, dislocate su un territorio interconnesso come la conurbazione Firenze-Prato-Pistoia, sono utilizzate in ogni comune senza che vi sia un piano di coordinamento con cui affrontare problemi che non si curano del codice di avviamento postale. D’altronde, secondo questa logica, finché un problema rimane un metro fuori dal proprio confine, non si può dirlo un problema della comunità.

E le note positive? Ci sono, ed emergono per esempio da un lavoro che Marco ha fatto di recente sulle aziende dell’ICT (Information and Communication Technologies) dal quale si evince come ci sia una forte integrazione produttiva tra Firenze e Prato ‘transfrontaliere’ nei settori innovativi; uno studio in cui viene fuori che si è creata una divisione del lavoro per area che vede i centri cittadini produrre servizi e progettazione mentre la piana tra essi compresa si è specializzata nella manifattura ICT. La pratica, come al solito, è qualche passo avanti alla teoria e, come al solito, dopo un po’ si stancherà di stare ad aspettarla.

Testo di Lapo Cecconi, Gianluigi Visciglia, Jacopo Naldi. Foto Eva Bagnoli

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