Un mese sul treno degli ambulanti: dura la vita da pendolari d’estate

L’affollatissimo Empoli-Viareggio raccontato dalla nostra cronista

Alla stazione di Empoli

Alla stazione di Empoli

di Irene Puccioni

Empoli, 1 settembre 2015 - IL TRENO dei pendolari che dall’entroterra raggiunge le spiagge della Versilia, d’estate, ha un colore diverso. Predomina il nero, con sfumature che vanno dall’ambra al nocciola. Nelle carrozze, dove lo spazio si restringe a ogni fermata, si parla africano, un po’ di inglese e poco italiano. I primi salgono a Empoli, la maggior parte si imbarca a Pontedera e Pisa. Tutti diretti al lavoro, al mercato abusivo che rifiorisce a ogni nuova stagione sui nostri litorali. Anche io, come loro, quest’estate ho fatto la pendolare, Empoli-Viareggio, e per un mese ho conosciuto il popolo degli ambulanti africani.

TRENO regionale 23351 delle 8.27 è in arrivo al binario 3. Tutti a bordo. Io con la mia borsa leggera, loro carichi di zaini e borsoni straripanti di merce di ogni genere. Prendono posto negli scompartimenti raggruppandosi fra di loro per parlare, forse di lavoro. Non capisco la loro lingua, ma intuisco l’argomento quando dalle ingombranti sporte tirano fuori portafogli, cappellini e indumenti taroccati e se li passano, di mano in mano, per testare la merce. Le donne, invece, sono più interessate alle ‘cose da femmine’. Una è seduta a terra tra le gambe dell’altra e si sottopone a una seduta di «treccine». La ‘parrucchiera’ con una specie di ferro da calza separa le ciocche crespe della connazionale e poi comincia a intrecciarle i capelli. E’ più rapida di un prestigiatore e prima di arrivare a destinazione il lavoro è terminato. A un certo punto la porta dell’altra carrozza si apre e avanza con passo lento una donnona avvolta in una coloratissima tunica con un compri capo della stessa fantasia.

SI TIENE in equilibrio con il peso delle due borse che stringe nelle mani. Dentro ha due thermos pieni di caffè e tè che versa in bicchierini di plastica in cambio di qualche moneta: servizio bar improvvisato sull’ «Africa Express». A interrompere le chiassose conversazioni l’arrivo del controllore: «Biglietto, biglietto». Chi si fruga in tasca chi sotto i gonnelloni. Pochi si fanno cogliere impreparati. La maggior parte mostra il titolo di viaggio regolarmente timbrato alla stazione di partenza. Qualcuno ha un ticket ‘corto’ per raggiungere la costa. «Con questo non puoi arrivare a Viareggio, devi scendere alla prossima». Il ‘pizzicato’ allarga le braccia e annuisce. Mi chiedo: «Scenderà? E anche se lo facesse difficilmente comprerà un altro biglietto». Ultima fermata prima di Viareggio, Pisa San Rossore, le porte si aprono a un’altra ondata di ambulanti. Adesso nella carrozza si sta davvero stretti. E fa caldo, nonostante l’aria condizionata. Tra la calca, lungo il corridoio, si fa strada una giovane mamma con in braccio il suo bambino di un anno o poco più, con l’altra mano trascina la valigia da lavoro.

CERCA un posto dove sedersi. Lo trova proprio difronte a me. Le faccio spazio portando indietro le ginocchia finché posso. Lei sorride e mi ringrazia, poi abbassa la tunica e scopre un seno a cui il piccolo immediatamente si attacca. Finita la poppata, la giovane si ricopre e il piccolo comincia a giocare. Le piace la mia borsa, lo lascio fare mentre tira e annoda la tracolla. «Viareggio, prossima fermata Viareggio». Scendiamo, io e gli ambulanti. Qui le nostre strade si dividono, ognuno va verso il proprio luogo di lavoro. Il mio è un ufficio refrigerato, il loro una spiaggia assolata. Sciamano verso il mare trascinandosi dietro i loro borsoni carichi di merce e speranza, quella di riportarli indietro meno pesanti. «Dura la vita da pendolare d’estate?». A quanti me lo domandano, oggi rispondo: «Chiedete a loro».