La rivoluzionaria serra galleggiante che ha conquistato l'Expo

Ideata e finanziata in questa provincia: la Cina se l’è già accaparrata, ma la burocrazia la tiene fuori dall'Arno

Il neurobiologo Stefano Mancuso alla presentazione di  «Jellyfish Barge»

Il neurobiologo Stefano Mancuso alla presentazione di «Jellyfish Barge»

Empoli, 26 maggio 2015 - Si chiama «Jellyfish Barge» ed è un’invenzione capace di cambiare il futuro del nostro pianeta. Il progetto, già realizzato e funzionante nonché esposto a Milano per Expo2015, è stato presentato dal suo ideatore, il neurobiologo Stefano Mancuso al Centro Coop di Empoli all’interno dell’iniziativa ‘Il buon vivere in Toscana’ organizzata da Unicoop Firenze. A spiegare i principi fisici e le implicazioni di «Jellyfish», oltre all’autore, anche il biologo marino Marco Castellazzi.

«Si tratta di una serra galleggiante – ha illustrato il professor Mancuso – un sistema modulare installato in acque salate o inquinate capace di produrre alimenti vegetali in autonomia: distillando acqua e sfruttando l’energia solare». Non solo. La serra è capace di produrre ortaggi senza usare il suolo. Una sorta di piccolo miracolo naturale, quello intercettato da Stefano Mancuso, in grado di rispondere a un problema di cui poco si parla: l’accaparramento delle terre. «Fra 30 anni ci saranno tre miliardi di persone in più da sfamare – ha spiegato l’ordinario dell’Università di Firenze – e il suolo disponibile non garantirà a tutti i Paesi un’alimentazione sufficiente, tanto che molti Stati stanno comprando terreni in paesi del terzo mondo per garantirsi le risorse».

Bella da vedere e alla portata di tutti o quasi, «Jellysfish» è costruita con materiali facili da reperire e riciclati, può essere modulata a seconda delle esigenze dei paesi ed è relativamente piccola, circa dieci metri di diametro. «La prima serra è stata posizionata nel canale di Navicelli, a Pisa – ha raccontato Stefano Mancuso – e una seconda ci è stata richiesta dalla Cina per installarla sul Mar Giallo, uno dei più inquinati al mondo». «Jellyfish» rappresenta una rivoluzione globale tutta locale. Sì perché il progetto è gestito dalla Pnat, spin off dell’Università di Firenze, e finanziato dalla regione Toscana e dalla Cassa di Risparmio di Firenze. Ecco perché suona strano che proprio la provincia ‘madrina’ della serra non voglia ospitarla nelle sue acque: «Abbiamo cercato di portare, almeno per i mesi estivi, un esemplare della Jellyfish nelle acque dell’Arno – ha raccontato il professor Mancuso – ma purtroppo a causa di normative locali ci è stato detto che non sarà possibile poiché non è consentito posizionare manufatti nei fiumi. Questo ci rammarica davvero molto».

Irrisolvibile il cavillo burocratico che farà sì che l’eccellenza tecnologica classificata al secondo posto al premio delle nazioni unite ‘Unece Ideas for Change Award’ non sia installata nella terra che l’ha ideata e finanziata per realizzarla. Non c’è da temere però, acque che accoglieranno «Jellyfish» ci sono, quelle lombarde. La darsena di Milano a Jellyfish ha detto sì. Lontana da casa, ma almeno installata.