Brexit: via gli inglesi ma resta l'inglese. La Crusca: "Occasione per le lingue nazionali"

Il presidente dell'Accademia della Crusca, Marazzini: "Il prestigio dell'inglese è dovuto agli Stati Uniti, non alla Gran Bretagna". Il neologismo Brexit? "Mi piace"

Claudio Marazzini, presidente dell'Accademia della Crusca

Claudio Marazzini, presidente dell'Accademia della Crusca

Firenze, 25 giugno 2016 - "Non credo che l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea comporterà delle modificazioni riguardo all’uso dell’inglese come prima lingua della Ue. In fondo il prestigio dell’inglese è dovuto agli Stati Uniti d’America, non alla Gran Bretagna: loro ne hanno tratto vantaggi".

Il professor Claudio Marazzini - linguista, saggista e presidente dell’Accademia della Crusca - prova una variazione sul tema Brexit, che sembra altrimenti costretto nel recinto economico e finanziario. "Sembra sia solo una questione economica – spiega – invece ci sono anche altre implicazioni". E fa un po’ strano che la lingua più importante dell’Unione non sia più rappresentata nella Ue dal suo Paese d’origine. Ma forse questo potrebbe comportare la riscossa degli ‘altri’: "La vera modificazione potrebbe proprio essere questa – continua Marazzini – Chi ha più interesse per il plurilinguismo potrebbe trarre delle ragioni di forza da questa vicenda: l’esistenza delle singole lingue va tenuta di conto. L’idea di unificazione totale della lingua sembra quantomai distante".

E chissà se qualcuno cercherà di scalzare l’inglese dal podio: forse il francese, la tradizionale lingua dei diplomatici, o lo spagnolo, medaglia d’argento fra le prime lingue del mondo dopo il cinese grazie soprattutto alla sponda sudamericana? Di certo non il tedesco, mal digerito da generazioni di studenti: "E’ una lingua difficile – dice Marazzini – anche se loro vantano di essere i più numerosi come popolo. Però c’è da dire che quando vai in Germania, per esempio in ambito universitario, parlano sì l’inglese come lingua di lavoro, ma poi ti insegnano loro stessi il tedesco. E’ una delle loro prime preoccupazioni".

E insomma, per l’italiano non c’è speranza... "Io credo – dice il presidente della Crusca – che per un Paese di una certa dimensione come il nostro il problema non sia tanto l’affermazione all’estero della propria lingua, quanto la sua difesa in patria. Magari bisognerebbe pensare a renderlo allettante nei nostri settori forti: l’arte, la cultura, la gastronomia. Del resto l’italiano nel mondo ha la fama di essere una lingua poetica e musicale. Vero o falso che sia, perché poi, in fondo, lo sono tutte...".

A proposito, professore, ma Brexit le piace come termine? "Beh, in fondo è di origine latina e di facile intuizione. Direi che non è male, questa volta non possiamo protestare contro questo neologismo".