Ghinelli risponde a Macrì: "non sono io che ho tradito gli accordi"

La lettera del sindaco dopo quanto successo in consiglio comunale: "L'unico patto era che il sindaco avrebbe scelto autonomamente gli assessori"

Il sindaco Ghinelli

Il sindaco Ghinelli

Arezzo 3 luglio 2015 - Prende carta e penna il sindaco Alessandro Ghinelli per dire la sua parola, immaginiamo definitiva, su quanto è successo durante il primo consiglio comunale di Arezzo e la rottura con Francesco Macrì.

"Pare il caso di fare un breve commento alla sfrenata serie di affermazioni e dichiarazioni che hanno incorniciato l’atto più importante di ieri: l’insediamento del Consiglio Comunale della XX legislatura del Comune di Arezzo, atto la cui importanza è sfuggita ai più - inizia la lunga nota di Ghinelli -  Cominciamo dal commento che l’onorevole Donati ha voluto regalarci da Roma, nel quale si parla di 'condizioni di instabilità politica che si sono venute a creare' . Se le condizioni di instabilità politica a cui si riferisce Donati sono quelle derivanti dal voto espresso dal suo partito che ha votato un Presidente espressione della maggioranza di governo della città, che è persona equilibrata e corretta, nella quale evidentemente si riconosce gran parte dei consiglieri, allora Donati deve rassegnarsi: il PD ha fatto la scelta giusta la di là degli schieramenti politici. Se Donati si riferisce invece alla dichiarata uscita dalla maggioranza del gruppo FdI – Alleanza per Arezzo, allora anche qui dovrà fare i conti con il suo partito circa il nuovo assetto dell’opposizione che sembra poter contare su un insperato, forse imbarazzante (per loro), appoggio. Ma la giornata di ieri si è caratterizzata soprattutto per la sfrenata sequela di insulti che da parte di esponenti di spicco di FdI si è abbattuta sulla maggioranza e sul sindaco. E su questo è bene fare chiarezza. Anzitutto la posizione del sindaco che sul partito Fratelli d’Italia non ha e non può avere riserve, né di carattere politico né di tipo comportamentale, vista la tradizione politica della famiglia del sindaco stesso.

Tuttavia il tema che si è posto, a proposito di Fratelli d’Italia è quello che il partito, quel partito si è relazionato col sindaco sempre esclusivamente attraverso il consigliere Macrì. Il sindaco - continua Ghinelli - ha in più occasioni cercato un contatto ed un riferimento diverso, nella segreteria provinciale, senza risultato: la risposta è sempre stata la stessa: ad Arezzo fa tutto lui Francesco Macrì. Macrì dispone, Macrì pensa, Macrì fa e disfà, quasi che altre menti pensanti nel partito non ve ne siano. Ma questo se si vuole ha anche consentito a chi scrive di avere sempre davanti un solo interlocutore: Francesco Macrì, e dunque interpreto l’uscita dalla maggioranza del partito come una decisione di Francesco Macrì, e non del Partito.

E quindi veniamo alla storia dei “patti traditi”. Ma prima pare il caso di ricordare che la composizione della Giunta è una prerogativa del Sindaco, e che la scelta del presidente del consiglio è una prerogativa del Consiglio Comunale. Ebbene il sottoscritto in epoca non sospetta, cioè prima della formalizzazione dell’alleanza, e quindi prima di sapere quale sarebbe stata la consistenza politica dei partiti di coalizione concordò con tutti i partiti di maggioranza lo schema: i partiti avrebbero fornito al sindaco una terna di nomi, con almeno una quota rosa, dalla quale il sindaco avrebbe scelto un assessore per ciascun partito, indipendentemente dal risultato elettorale. A questi quattro assessori si sarebbero sommati i due scelti direttamente dal sindaco. L’ultimo assessore, con la delega di vicesindaco sarebbe andato al partito col maggior numero di voti. E questo è stato il patto con cui il sindaco si era garantito una certa autonomia circa la scelta degli assessori.

Aggiungo che come condizione “accessoria” nello stesso accordo ci si dava atto che l’espressione del nome del Presidente del Consiglio spettava al secondo partito della maggioranza - conclude Ghinelli - . Ebbene a elezioni vinte, nel corso della prima riunione che è stata fatta per giungere alla formazione della giunta, Francesco Macrì ha fatto presente che il suo partito lo aveva incaricato di sostenere la tesi che rinunciava alla nomina di un assessore, e quindi non forniva nessuna terna di nomi, ma che il suo partito intendeva che fosse lui il Presidente del Consiglio. Questo è l’unico “patto tradito” di cui si può parlare e non lo ha certo tradito il sindaco. A quel punto le conseguenze sono note. Il sindaco ha formato la Giunta secondo lo schema originario e ha nominato un assessore in più (quello in quota Fratelli d’Italia) con criterio discrezionale. Il secondo partito per voti ha espresso il nome del Presidente del Consiglio che è stato votato anche dal Partito Democratico. Il resto è solamente pura fantasia".