Azioni e subordinate Bpel: in fumo 370 milioni, un terzo perso qui

Il 60 per cento del capitale azionario in Toscana, il 38 ad Arezzo. In totale 125 milioni inghiottiti, più i 250 dei bond. Ecco tutte le cifre. LA REAZIONE DEI TITOLARI

Banca Etruria

Banca Etruria

Arezzo, 24 novembre 2015 - I PRIMI ERANO quasi rassegnati da mesi, da quando il titolo Bpel era stato sospeso in Borsa dopo il commissariamento di febbraio. Gli altri invece erano in allarme da qualche settimana, da quando si era cominciato a ipotizzare che i loro bond subordinati potessero essere trasformati in azioni. E’ andata pure peggio, perchè al posto delle quote di capitale gli uni e gli altri si ritrovano con un mucchio di carta straccia. E non sono proprio bruscolini: piùo meno 370 milioni che se ne vanno in fumo allo scoccare della mezzanotte, quando nasce la Nuova Banca Etruria e la vecchia Bpel finisce in liquidazione coatta.

Di azioni di quella che fino a domenica era la Popolare dell’Etruria e del Lazio ce ne sono in circolazione 217 milioni. All’ultima quotazione di piazza Affari, l’11 febbraio dell’arrivo dei commissari, valevano 0,58 euro l’una. Per un totale di 125 milioni, almeno nominali. Poco e niente rispetto al valore di emissione e a quello raggiunto in alcuni momenti di fulgore, ma era pur sempre qualcosa. Adesso, invece, sono i titoli di proprietà di una società destinata alla tomba e 62 mila azionisti scompariranno con essa.

E’ UNA PERDITA che riguarda soprattutto la Toscana, dove risultavano collocate il 60 per cento delle azioni, e ancor più la provincia di Arezzo, dove risiedeva il 38 per cento dei titolari. In gran parte piccoli risparmiatori che si erano fatti il loro «giardinetto» azionario. In media, stando ai dati che fornisce Vincenzo La Croce, presidente dell’associazione Amici di Banca Etruria, il pacchetto in possesso dei singoli risparmiatori era di 500 euro. Certo, c’erano anche gli speculatori, piccoli e grandi, quelli ad esempio che avevano fatto incetta di titoli quando era arrivata la Pre-Opa di Popolare Vicenza, che prevedeva un prezzo d’acquisto nettamente superiore al valore del titolo in Borsa. Pure molti di loro sono rimasti col cerino in mano.

Ci sono poi gli obbligazionisti subordinati, l’altro grande gruppo che si ritrova a mani vuote. Secondo dati ufficiosi sono circa 5 mila, un terzo dei 15 mila bondisti delle quattro banche finite nell’operazione di salvataggio. Qui, però, il valore del monte titoli sale di molto e siamo intorno ai 250 milioni. Chi ha sottoscritto questo particolare tipo di titolo sapeva di rischiare più degli obbligazionisti ordinari, perchè i bond subordinati sono i primi a pagare in caso di insolvenza, a fronte di un rendimento più alto.

BENE, MENTRE le obbligazioni ordinarie transitano nella New Bank, quelle subordinate restano nella vecchia, il che significa per i titolari ritrovarsi creditori di una società che non vale più niente e che comunque è in via di liquidazione. In pratica, vengono sacrificati sull’altare dell’operazione di risanamento. Detto in soldoni, significa che dei loro bond non resterà niente. D’altra parte, nella sua nota ufficiale Banca d’Italia l’ha spiegato a chiare lettere: i loro erano titoli di rischio e chi le ha acquistate doveva saperlo.

Dei bondisti si sa assai meno che degli azionisti. Fatta una media, ognuno di loro possiede in media 50 mila euro di obbligazioni, anche se è la solita storia del pollo di Trilussa: chi ne ha 10 mila e chi 200 mila. Si può stimare approssimativamente che anche fra loro un terzo sia aretino. Alla fine, dunque, solo questo territorio ha visto andare in fumo domenica almeno un centinaio di milioni. E’ il prezzo pagato per rimettere Banca Etruria in carreggiata. Di sicuro, il costo di un crac sarebbe stato molto più alto.

Salvatore Mannino